L’Amazzonia riprende a bruciare: “Toccato il picco degli ultimi dieci anni” | Rep
Le agenzie governative del Brasile correggono i dati dei satelliti: “E’ peggio dell’anno scorso, i roghi sono aumentati”DI DANIELE MASTROGIACOMO
L’Amazzonia ha ripreso a bruciare. Peggio di un anno fa. L’alto numero di incendi fa temere che il mantello verde andato in fumo sia molto più vasto. Lo denuncia la Reuters che riprende un’allarmante segnalazione di alcuni alti funzionari dell’Ibama, l’Agenzia ambientale del governo del Brasile che controlla e protegge la grande foresta pluviale. La denuncia era già stata ripresa dall’edizione online della BBC alla fine del luglio scorso, e segnalata sul nostro giornale, ma adesso anche i media brasiliani parlano di un aumento costante del numero di roghi registrato dai satelliti dell’agenzia spaziale incaricata di monitorare i territori dell’Amazzonia. Sebbene giornali e siti spieghino che il numero degli incendi è inferiore del 5 per cento di quelli registrati nell’agosto del 2019, così come indica il portale web dell’Agenzia spaziale Inpe, per Alberto Setzer, “la segnalazione dei dati ufficiali non è corretta perché riportano un errore di un satellite della Nasa”. Quando anche questi ultimi dati verranno aggiornati si scoprirà che “i roghi sono aumentati tra l’1 e il 2 per cento nello scorso agosto”, e questo significa che “assistiamo alla peggiore ondata di fuoco degli ultimi dieci anni”.
Il Guardian si spinge oltre. Stima che il numero di roghi sia il più alto degli ultimi 22 anni, dal 1998. In un servizio realizzato dopo aver sorvolato la parte centrale dell’Amazzonia, quella che rientra nel territorio brasiliano, “abbiamo visto tratti di pascolo che stavano bruciando, aree disboscate in fiamme, larghi tratti di foresta invasi dal fumo che si alzava per chilometri verso il cielo”, scrive il quotidiano britannico. Il presidente Jair Bolsonaro aveva vietato quattro mesi fa a contadini e proprietari terrieri ogni tipo di fuoco, anche bruciare la semplice sterpaglia come si fa ogni anno in vista delle nuove semine. Ma il provvedimento non sembra aver prodotto risultati incoraggianti. Greenpeace ha calcolato che nonostante l’invio di contingenti militari per controllare i confini della foresta, c’è stata solo una piccola riduzione del numero di incendi tra metà luglio e metà agosto rispetto allo stesso periodo di un anno fa. “Stiamo assistendo alla ripetizione della tragedia dell’anno scorso”, commenta Rômulo Batista, attivista dell’organizzazione ambientale.
Le immagini satellitari raccolte dall’Inpe, secondo il Guardian e numerosi siti indipendenti brasiliani, hanno rilevato oltre 7.600 incendi nello Stato di Amazonas. Sono 1.000 in più rispetto al 2019. Martedì scorso l’Inpe ha corretto i suoi dati e parla di 29.307 roghi ad agosto in tutta la regione amazzonica. E’ il secondo numero più alto dell’ultimo decennio, leggermente inferiore ai 30.900 dichiarati l’anno scorso quando un’ondata di proteste a livello mondiale obbligò Bolsonaro a difendersi sostenendo che si trattava di “bugie e di campagne che puntano a discriminare il Brasile”. Mancano ancora quattro mesi alla fine dell’anno e il numero, visto che siamo in piena stagione secca, potrebbe aumentare stabilendo un record davvero storico per la foresta brasiliana.
Il licenziamento dei vertici dell’Ibama, “perché vicine alle ong”, il progressivo depotenziamento di tutta l’Agenzia e aver affidato al vicepresidente, il generale Hamilton Mourão, il compito di vigilare sull’Amazzonia, hanno ridotto al minimo l’attività di controllo. Bolsonaro aveva anche annunciato il taglio dei finanziamenti all’Ibama ma davanti all’ondata di proteste ha dovuto fare marcia indietro assicurando il rinnovo dei fondi.
Attorno all’Amazzonia si consuma una battaglia che vede contrapposti gli interessi degli allevatori e proprietari terrieri alla salvaguardia ambientale di un territorio vitale per la sopravvivenza dell’intero Pianeta. I primi fanno parte del blocco agrario che è stato decisivo per la vittoria del leader dell’estrema destra e sono tuttora fondamentali per assicurargli una maggioranza al Congresso. Hanno bisogno di nuove terre per far pascolare le mandrie e per le coltivazioni intensive della soia. Formano una lobby potente che detta legge e impone le scelte al governo.
“Tutti, dai taglialegna, ai minatori illegali, ai garimpeiros”, conferma Greenpeace e l’ong indigena Istituto Kabu, “sono più attivi del solito. Lavorano al sicuro, sanno che per via del Covid 19 le ispezioni governative si sono ridotte”. Aggiunge Bep Protti Mekrãgnoti Re, capo tribù dei Kayapó, protagonista del blocco dell’autostrada che attraversa l’Amazzonia durato una settimana: “Lo sviluppo invocato da Bolsonaro per giustificare lo sfruttamento della foresta significa la distruzione della nostra riserva. Non ci arrenderemo mai. Ma possiamo fare poco per frenare questo disastro”.
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