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Dai resoconti dei bollettini che da marzo ci aggiornano sul numero di contagi, ricoveri e morti, abbiamo capito che durante i mesi estivi la situazione è diventata meno grave. I dati del Sistema di sorveglianza sulla mortalità giornaliera ce lo confermano: se tra il 25 e il 31 marzo 2020, nel momento più drammatico, in 19 città-tipo del Nord Italia morivano al giorno in media 280 persone (contro le 130 dello stesso periodo dei 5 anni precedenti), quest’estate ci siamo riallineati alle statistiche del mese di luglio: 110 decessi giornalieri. Per il momento, dunque, non c’è più quella che, in gergo tecnico, viene definita «mortalità in eccesso», che confronta il totale dei deceduti fra presente e passato, non solo quelli con il tampone positivo. Quindi, al di là dello scontro tra gli scienziati più prudenti e altri che sostengono che la fase epidemica da Covid-19 è praticamente finita, qual è oggi il reale impatto del virus nel nostro Paese? Dopo avere esaminato decine di statistiche degli ultimi mesi (bollettini della Protezione civile, tabelle Istat, studi scientifici internazionali, analisi dell’Istituto superiore di Sanità e del ministero della Salute), ecco tutti i numeri che fotografano quanto colpisce il Covid-19, e quali sono le differenze con l’influenza in arrivo nella stagione autunno-inverno.

Le probabilità di morte: da marzo a oggi

Il primo dato riguarda la probabilità di morte per i pazienti che finiscono ricoverati in ospedale, quindi i più gravi tra quelli infetti: tra marzo-aprile è stata del 28,9%, tra maggio e giugno del 15,3%, tra luglio e agosto del 4,9%. La mortalità degli ospedalizzati per Covid, quindi, decresce nel tempo. Le spiegazioni sono molteplici: l’età media dei casi più bassa (34 anni contro gli oltre 60 di inizio epidemia), ospedali non sotto stress, ricoveri tempestivi che consentono ai pazienti di arrivare in ospedale in migliori condizioni e di iniziare subito anche i trattamenti, conoscenze sulle cure più avanzate.

Le differenze con l’influenza

Possiamo in questo momento considerare il virus come una normale influenza? Dopo il disastro che è successo la risposta è no, ma poiché c’è ancora chi non ritiene indispensabile indossare la mascherina ed evitare assembramenti, il confronto può essere utile. Partiamo dai sintomi, quelli più diffusi sono simili: febbre, tosse, respiro corto, dolore ai muscoli, stanchezza, disturbi gastrointestinali quali la diarrea. Invece perdita del gusto e dell’olfatto indirizzano verso il Covid. Tempi di incubazione: per l’influenza è più breve, da uno a cinque giorni, contro una media di quattro-cinque per il Covid. Statisticamente ogni infetto contagia al massimo 2 persone, il Covid fino a 3,8. L’influenza dura fra 3 e 5 giorni e durante l’intera stagione finisce in ospedale tra l’1 e il 2% degli ammalati. Il Covid dura mediamente da una a due settimane e solo nel periodo di picco (marzo e aprile) è stato ricoverato fra il 15 e 20% dei contagiati.

Le conseguenze del coronavirus sui pazienti dimessi sui polmoni, sistema nervoso, cuore, apparato circolatorio, possono trascinarsi per mesi.
L’incidenza sulla popolazione a confronto

L’ influenza colpisce il 10% della popolazione italiana, con 6 milioni di casi. Il numero di decessi è mediamente di 8.000 ogni anno, ma varia a seconda della virulenza stagionale: se è molto forte, come è successo nel 2015 e 2017, i morti sono stati 24.000.

Il calcolo per il Covid-19 è più complesso, poiché il numero di decessi dei bollettini ufficiali calcolano soltanto i pazienti sui quali è stato eseguito un tampone. Occorre quindi considerare l’eccesso di mortalità, che tra marzo e aprile è di 45.186 morti (variando in modo rilevante da città a città). Un numero che comprende anche gli effetti collaterali, ovvero i decessi di chi non ha potuto curarsi in tempo perché gli ospedali erano pieni.
Come il Covid ha colpito le città

In quanti hanno contratto il Covid, invece, è ancora oggi difficile stabilirlo con certezza: nei mesi più difficili dell’epidemia i tamponi sono stati eseguiti solo ai ricoverati, e tranne l’ormai nota eccezione di Vo’ Euganeo, in quei mesi non erano considerati gli asintomatici, e spesso neppure chi aveva sintomi, perché restava a casa. I risultati dell’Istat su 65 mila test sierologici, eseguiti tra il 25 maggio e il 15 giugno per capire quanti italiani sarebbero stati colpiti dal virus, parlano di quasi 1,5 milioni di italiani infettati (2,5%). Invece l’Istituto per gli studi di politica internazionale (Ispi), che prende in considerazione i risultati di test sierologici eseguiti su larga scala a livello europeo, arriva a stimare 3,9 milioni di infetti in Italia (6,5%). Una differenza che la dice lunga sulla difficoltà di avere numeri certi in materia di Coronavirus. In ogni caso, partendo da questi dati, e messi a confronto con quelli dell’influenza, si ha un quadro chiaro sulla mortalità e la letalità del virus.
La mortalità dell’influenza (percentuale di decessi sul totale della popolazione), è dello 0,01- 0,04% contro lo 0,07% del Covid. La letalità (percentuale di decessi sul numero degli infetti) è dello 0,1%-0,4% dell’influenza contro l’1-3% del Covid. Detto con parole più semplici: sulla base delle stime dei mesi clou dell’epidemia, il Coronavirus è stato dieci volte più letale dell’influenza. Significa che senza nessun intervento, puntando all’immunità di gregge, ovvero fino all’l’80% della popolazione contagiata, i morti sarebbero stati ad oggi 700.000 in più. Il calcolo è realizzato utilizzando le stime più al ribasso, con una letalità all’1%: ci saremmo dovuti attendere 556.000 morti dirette a cui si sarebbero aggiunte circa 150.000 morti indirette causate da mancanza di posti nelle Terapie intensive ed effetti collaterali. Se consideriamo che ogni anno, in Italia, per tutte le cause, ci sono circa 600-650.000 decessi, è facile comprendere che senza misure di contenimento, la mortalità generale sarebbe più che raddoppiata.

Quei mesi pesantissimi sono alle spalle, ma nessuno è in grado di prevedere il conto che ci presenterà la prossima stagione con la sacrosanta ripartenza di tutte le attività. Dipenderà dai comportamenti di ciascuno di noi. Più resteranno prudenti (mascherine e distanziamento fisico), e più l’incubo sarà gestibile. L’Rt, che misura quante persone contagia un infetto, sta risalendo sopra l’1, e stanno tornando a crescere anche i ricoveri nelle terapie intensive seppure in modo non ancora allarmante. Il ministero della Salute raccomanda dai 65 anni in su, e per le categorie a rischio, di vaccinarsi contro l’influenza, che non tutela dal Covid, ma consente di non confondere i sintomi: in caso di febbre sai che devi correre a fare il tampone. Inoltre, evita ad una buona fetta di quel 1-2% (che equivalgono a circa 100.000 persone) di non finire in ospedale, lasciando così liberi i posti agli ammalati di Covid.

Sorgente: Corriere della Sera

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