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Il ministro per gli Affari Europei: “Ungheria e Polonia non vogliono legare gli aiuti al rispetto dello Stato di diritto e minacciano il blocco”

dalla nostra corrispondente TONIA MASTROBUONI

BERLINO – Enzo Amendola avverte che ai dossier spinosi dell’imminente Consiglio Ue se n’è aggiunto un altro. Alla vigilia di una visita ufficiale a Berlino il ministro per le Politiche europee lancia l’allarme sul rischio che il Recovery Fund venga bloccato dai veti incrociati tra i Paesi “frugali” e quelli di Visegrad sul tema cruciale dello stato di diritto.

Lei oggi incontra il suo omologo Michael Roth e altri esponenti del governo tedesco. Che tempi prevede per il Recovery?
«Per noi gli accordi di luglio vanno implementati subito. Si è aperto però uno scontro tra Paesi come la Polonia e l’Ungheria che non vogliono interferenze o condizionalità sullo stato di diritto, e i cosiddetti “frugali” che spingono perché lo stato di diritto sia irrinunciabile per accedere ai fondi. L’Italia ha detto la sua: l’articolo 7 e le procedure sullo stato di diritto sono fondamentali. La Germania ha un ruolo determinante in questo, sta lavorando ad una mediazione. Al contempo bisogna negoziare con il Parlamento Ue. Purtroppo rischiamo di finire in una strettoia che allunga i tempi del Recovery. La Presidenza tedesca deve portare a casa questa mediazione».

Si rischia il blocco del Recovery?
«Se la discussione continua così, con questi toni e con minacce di veto – dal mio punto di vista al di fuori della logica comunitaria – si potrebbe bloccare tutto. Lavoriamo con la Germania per una via d’uscita».

Anche la proposta della Commissione Ue sull’immigrazione lascia perplessi. L’Italia ha perso?
«È uno dei messaggi che vogliamo passare alla presidenza tedesca. Un accordo serio sull’immigrazione chiuderebbe 10 anni di debolezze europee. In pochi mesi metteremmo in soffitta l’austerity e la mancanza di solidarietà sui migranti che sono stati la causa del populismo e di molti problemi di politica interna. Ovvio che sarà un accordo complicato. La bozza della Commissione comunque è importante perché apre finalmente un negoziato, anche se c’è ancora molto lavoro da fare. Su alcune cose siamo contenti, il meccanismo di Malta che abbiamo messo in moto l’anno scorso in questa bozza diventa obbligatorio – parlo della solidarietà per i salvataggi in mare. Ma la politica di entrata e uscita, di gestione dei confini, cioè di entrate legali e rimpatri, è ancora troppo poco delineata. L’opzione della sponsorizzazione va approfondita. Angela Merkel dal 2015 ha assunto un ruolo positivo e importante sul tema. Ma ci vuole uno sforzo in più».

Quali sono le linee rosse dell’Italia?
«Beh, Dublino non esiste più nei fatti. E i flussi non provengono mica tutti dal Nordafrica. Giungono anche via Balcani dall’Asia, che esprimerà in futuro il 57% della popolazione globale. Nessuno può sentirsi estraneo a questa vicenda storica. Dobbiamo elaborare un sistema condiviso di rimpatri ma anche corridoi di entrata che siano regolati in modo comune. La proposta della Commissione è un inizio, ma ovviamente per noi è insufficiente rispetto alla realtà che stiamo vivendo».

Cosa contiene il piano italiano per il Recovery?
«Capisco che ci sia euforia sul piano italiano e che qualcuno pensi che abbia le stesse modalità di una legge di bilancio. Ma nell’accordo di luglio abbiamo fatto tutti insieme, come europei, scelte per indirizzare l’autonomia strategica della Ue su alcune grandi linee comuni. Sono quelle della transizione ecologica, della trasformazione tecnologica e digitale e della coesione sociale. Per Paesi come il nostro significa recuperare dei gap e delle posizioni in classifica che non sono onorevoli – occupazione femminile, divario Nord-Sud e ritardo digitale. Nel Recovery lavoreremo anche per progetti transnazionali e consorzi europei, sulle nuove tecnologie, come per esempio l’idrogeno, i satelliti, i microprocessori, le batterie. Con la Germania, capofila di scelte importanti, vogliamo creare dei consorzi comuni, usando i soldi del Recovery».

Oggi il Segretario di Stato Usa sarà a Roma. Cosa gli direte a proposito della Cina e del 5G?
«Dobbiamo recuperare anni in cui non c’è stata reciprocità tra Cina ed Europa su elementi come il commercio e gli standard di diritto internazionale. Sulle infrastrutture tecnologiche abbiamo fatto finta che non esistesse un problema di sicurezza. Non è solo una questione di competizione commerciale: la gestione dei dati che viaggiano in queste infrastrutture deve avere un requisito di sicurezza. Perché in esse c’è la proprietà intellettuale e soprattutto i dati personali degli italiani e degli europei. E così come anni fa la sicurezza veniva garantita da apparati militari e di controllo del territorio, oggi lo Stato deve proteggere la sicurezza e la privacy dei dati. Per questo con gli alleati europei abbiamo definito una serie di misure comuni. E questo sarà un tema anche per il Consiglio Ue».

Sorgente: Amendola: “Recovery Fund a rischio per i veti incrociati tra gli Stati, la Germania trovi una mediazione” | Rep

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