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Zingaretti tenta di raddrizzare ciò che è nato storto. Se la crisi sociale di ottobre dovesse risultare più forte della capacità del governo di evitarla, nell’assenza di alternative l’unica alternativa è il collasso

by Alessandro De Angelis

Alla fine, la sensazione che resta è quella di un immenso sforzo di Nicola Zingaretti per raddrizzare, detta in modo un po’ gergale, ciò che è nato storto. Generoso, sinceramente animato da quell’antico senso di responsabilità nazionale che, più volte nella storia del Pd, è diventato un cappio a cui il partito è rimasto appeso, dai tempi di Monti. E, proprio per questo rischioso, proprio nel momento in cui oggi, come allora, l’attuale assetto di governo può diventare l’incubatore di un’ondata populista di tipo nuovo nel paese.

C’è, nella relazione del segretario alla prima direzione del Pd post lockdown (a proposito: una cosa seria, d’altri tempi con cinque ore di dibattito) questo faticoso cimento, potenzialmente drammatico: la consapevolezza che, se si va avanti a colpi di “casalinate”, in autunno arriveranno i forconi, con la destra pronta a indirizzarli verso palazzo Chigi e, al tempo stesso, la consapevolezza che non ci sono alternative a questo governo, almeno per come si è messa finora. In quanto impraticabili: per le larghe intese manca una destra decente, per andare al voto manca una legge elettorale che non consegni il paese a Salvini, ma anche la disponibilità dei tacchini di questo Parlamento ad affrontare il Natale, e così via. È addirittura complicato financo cambiare qualche ministro, in un paese dove riaprono le balere ma poco si capisce sul ritorno a scuola, perché anche se il Pd sarebbe favorevole, in queste delicate operazioni sai dove si comincia ma non si sa dove si va a finire.

Ecco, il sentiero stretto :“la destra è lì”, “rocciosa”, pronta a cavalcare “la paura”, trasformandola in rabbia e odio, ma l’unica alternativa a questo governo è farlo funzionare, renderlo, si sarebbe detto una volta, alternativo a se stesso quantomeno nel metodo seguito finora e nella consapevolezza della sfida. È questo il senso del titanico sforzo: rendere questo governo alternativo a se stesso. Si capisce che, al fondo di ogni passaggio in cui Zingaretti chiede una “svolta”, c’è un giudizio severo, anche se non esplicitato, che non riguarda solo gli Stati Generali, ma più in generale le incertezze di un governo chiamato a ricostruire il Paese senza un’idea di paese. Si capisce anche che sente l’urgenza di ri-addrizzare la rotta, rispetto ai mesi nel sostegno acritico, e di riacquisire margini di iniziativa politica, come avvenuto sul terreno della legge elettorale che ha prodotto l’innesco del dialogo con Forza Italia e una certa disarticolazione della destra. Con una certa solennità, rigorosa e demodé, il segretario del Pd, tornato in giacca e cravatta con i simboli del Pd alle spalle, sceglie la via della drammatizzazione retorica parlando a suocera (il suo partito) perché nuora (il presidente del Consiglio) intenda.

È un discorso denso di consapevolezza sul momento “cruciale”, che investe il destino stesso del paese e della legislatura, perché è chiaro che sbagliare la ricostruzione del paese, proprio nel momento in cui dall’Europa arrivano una valanga di soldi, significa fallire ed essere travolti. Tuttavia, proprio perché si muove sul piano dell’invito alla consapevolezza, che rifiuta polemiche e non turba l’esistente in nome di alcuni paletti non negoziabili, resta all’interno di una classica alternativa del diavolo. Nel senso che se la crisi sociale di ottobre, evocata in qualche intervento come quello di Cuperlo, dovesse risultare più forte della capacità del governo di evitarla, nell’assenza di alternative l’unica alternativa è il collasso.

Ecco il punto. Al netto dell’intimazione retorica, la questione politica resta squadernata: il partito della “responsabilità” di governo riesce ad essere il “partito degli italiani”, capace di intercettare inquietudini, preoccupazioni, rabbie prima che si traducano in istinti antipolitici e di rivolta? Finora, in questi mesi, il Pd si è limitato, con generosità, a sostenere l’azione di governo, rinunciando, in nome della stabilità, a un punto di vista autonomo, dall’immigrazione alla giustizia, alle stesse modalità di gestione della crisi virale, che hanno visto la chiusura del Parlamento e una operazione di costruzione della leadership del premier sullo stato di eccezione. Adesso, proprio nel momento in cui si chiude la fase dell’emergenza sanitaria e si apre la fase dell’emergenza economica, il Pd chiede “un salto di qualità” senza però ancorarlo a un perimetro di richieste vincolanti, a partire da quegli Stati Generali, di cui non si capisce ancora programma, calendario e funzione. Si capisce che saranno una fase di ascolto, più o meno lunga, più o meno breve. Lo sforzo è immenso, il risultato, come evidente, una grande incognita.

Sorgente: L’alternativa del diavolo | L’HuffPost

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