Roma. «Forse sembrerà strano, ma la mia prima nomina a procuratore capo, che risale al 2007, è stata all’unanimità. Non capisco dunque quale sia la lottizzazione». A parlare è Giuseppe Amato, oggi procuratore capo a Bologna, citato dall’ex collega Luca Palamara che – in un’intervista al quotidiano La Repubblica – ha sostenuto che proprio quella “nomina” fu effettuata secondo i meccanismi di correnti che oggi vengono tanto criticati. Amato, già procuratore di Pinerolo e Trento, la pensa in maniera diversa. «Si può dire che sia più o meno bravo come procuratore, ma io sono convinto che la maggior parte delle nomine venga fatta valutando le carte. Sono passaggi delicati e, in caso di illegittimità, si può andare anche davanti al Tar», ha spiegato Amato che ha ribadito: «Secondo questo discorso anche il ministro dovrebbe entrare nella lottizzazione, e non è così. Il meccanismo è la garanzia che sono nomine lineari e condivisibili».
Amato è solo uno dei tre magistrati che Palamara – dopo essere stato cacciato dall’Associazione nazionale magistrati di cui è stato anche presidente – ha individuato come capofila del sistema delle correnti utilizzato per «gestire il potere interno alla magistratura».
Tra le persone tirate in ballo anche Bruno Di Marco, membro dei probiviri dell’Anm ed ex presidente del tribunale di Catania, considerato da Palamara vicino a Giancarlo Longo, il magistrato che, secondo le originarie accuse rivolte all’ex pm di Roma dai magistrati di Perugia, poi cadute, sarebbe stato avrebbe favorito nella corsa per l’assegnazione della procura di Gela.
«Tutte le mie nomine sono avvenute all’unanimità. – ha commentato detto Di Marco – L’unico riferimento specifico alla mia persona fatto da Palamara è il procedimento nei confronti del magistrato Longo, che io ho difeso nel lontano 2006 nell’ambito di un procedimento disciplinare». Il magistrato ha poi aggiunto: «Ho assistito Longo solo in quell’occasione, nella quale è stato assolto dalla sezione disciplinare, e da allora non l’ho mai più sentito».
Le dichiarazioni di Palamara, intenzionato a non fare da capro espiatorio dell’intera vicenda, hanno suscitato reazioni durissime, in primis dall’Associazione nazionale magistrati, che respinge con sdegno l’accusa di aver usato con lui metodi di inquisizione negandogli la possibilità di intervenire nel corso Comitato direttivo centrale che ne ha decretato l’espulsione.
Quella di Palamara è una menzogna, fa sapere infatti la giunta del sindacato delle toghe: “come prevedono le norme è stato ascoltato dai probiviri, di fronte ai quali non ha mai preso una posizione sugli incontri con consiglieri del Csm, parlamentari e imputati” da ci sono derivate pesanti un’interferenze nell’attività del CSM.
«Nel disperato tentativo di difendersi attaccando, Palamara inventa una realtà che non corrisponde ai fatti», è invece la replica del segretario dell’Anm, Giuliano Caputo, che Palamara definisce inserito nel sistema delle nomine. Minaccia infine il ricorso alle vie legali un altro ex presidente dell’Anm, Eugenio Albamonte, pm romano e segretario di Area, il gruppo che rappresenta le toghe progressiste.