0 9 minuti 4 anni

In Brasile i contagi crescono ancora con un ritmo ossessivo, mai così elevato. 33mila più di ieri, tasso di crescita oltre il 7%, qualcosa di spaventoso, considerando che, giunti a certi livelli questi numeri tendono/tenderebbero fisiologicamente a calare.

Alberto Tarozzi

Il dramma dietro i numeri

E il Brasile è già arrivato al mezzo milione di ufficialmente contagiati. Il rapporto col totale degli abitanti non sarebbe allucinante, più o meno quello di un’Italia delle regioni di mezzo come la Toscana. Ma dietro alla media si nasconde il dramma. Alle regioni relativamente poco colpite fa da contrappeso la catastrofe di regioni devastate dal virus.
E’ questo un dato che può destare qualche sorpresa, se guardiamo alla carta geografica del Brasile. E può fornirci anche qualche ammonimento in proiezione futura, qualora ritenessimo, sulla scorta del nostro passato e di quello di molti altri, che le aree maggiormente a rischio debbano essere più o meno ovunque le stesse: le aree metropolitane. E invece no, il Brasile fa eccezione alla regola e quale eccezione! Ma procediamo con ordine e cerchiamo di vedere le cose come stanno su scala planetaria.

Non solo le aeree metropolitane

Aree metropolitane e coronavirus nel mondo, tante tragedie e un denominatore comune. La congestione, l’affollamento, il concentrarsi di uomini, collegamenti locali e internazionali, attività produttive e commerciali.
Inutile che ricordi il caso della Lombardia, tipico dell’occidente sviluppato. La Lombardia, 11 milioni di persone a rischio nell’area più sviluppata d’Italia. Traffico, imprenditoria e in più un ospedale in cui si accende la miccia. Ma fin qui tutto il mondo è paese, anche se con differenti sfaccettature e fesserie a geometria variabile.

Paese che vai minaccia che trovi

Paese che vai volto diverso, ma non sempre, della tragedia che trovi. Durban, Sudafrica, 3 milioni di abitanti e un infetto che in un ospedale pare ne abbia contagiati oltre cento in pochi giorni. Sudafrica (“solo” 30mila casi) paese più contagiato di quel continente, meno colpito degli altri. Ma se vuoi trovare il tasso di contagi continentale più alto rispetto alla popolazione devi andare nella piccola Gibuti: poco meno di un milione di abitanti nel paese, ma la metà nella capitale, crocevia di ogni fattore di infezione. Migliaia di militari di ogni provenienza (postazione cinese sulla via della seta, concentrazione di soldati Usa a controllare il golfo di Aden, più qualche militare giapponese, italiano e pure francese in ricordo del dominio dei transalpini su quella regione ai tempi della repubblica di Vichy.

Gibuti bomba d’Africa

Areoporto internazionale, linee ferroviarie relativamente ben sviluppate col resto del corno d’Africa, porto affacciato sull’entrata del golfo di Aden ben frequentato dalle petroliere. Il gioco è fatto. I contagi, nel loro piccolo dilagano. Ma è tutta l’Africa che un poco fa i conti coi richiami della modernizzazione ai tempi del covid. Un continente che finora ha giocato di anticipo bloccando capitali già infernali per conto loro, senza bisogno di virus, come Lagos in Nigeria. Ma dove ha attecchito (Sud Africa), sono file di km per procurarsi una cesta di viveri come a Centurion, dalle parti di Johannesburg.

Vie del petrolio e del coronavirus

Asia, anche qui le metropoli in primo piano, sullo scenario della tragedia. Dalla fin troppo nota Wuhan, a Seoul. Poi cinque città dell’India Delhi e Mombai comprese, col 60% dei casi su scala nazionale. Più prossimi a noi i paesi arabi. Via del petrolio e via del coronavirus si sovrappongono e i nodi sono le aree metropolitane e i loro hinterland industrializzati. Valga per tutti l’esempio di Doha, in un Qatar che con meno di tre milioni di abitanti supera il numero dei casi di contagio dell’Olanda che di abitanti ne ha sei volte tanti (55mila casi contro 44mila). Anche qui, inferno alla periferia industriale della capitale.
Operai del sud est asiatico e africani, blindati in una fogna virale con, per di più, l’incombere di un’apertura nel bel mezzo di un boom di contagi. Ma si sa per il 2022 bisogna preparare i mondiali di calcio e lo show “must go on” prima ancora di iniziare.

Virus metropolitano ovunque

Così il terzo mondo, America Latina a parte, ma primo e secondo mondo non sono da meno. La Russia vede concentrarsi su Mosca larga parte dei suoi 400mila infetti. La Francia sull’Ile de France. La Spagna su Madrid e la Catalogna Solo la Germania, multipolare, non vede Berlino al primo posto, ma la Baviera e con essa Monaco, confermano il binomio metropoli/virus. Per non parlare degli Usa. Prima New York, poi Los Angeles e Chicago. Poche eccezioni e tante regole.

Così parrebbe anche per l’America Latina. Le nazioni col più alto numero di contagi dopo il Brasile (Perù e Cile) vedono le aree metropolitane sovrastare il resto del paese nelle dimensioni della catastrofe. A Lima la densità dei contagiati è il doppio che nel resto del paese. Idem nell’area metropolitana di Santiago. In entrambi i casi, nelle due capitali e nei loro dintorni, si concentrano i due terzi e oltre delle infezioni ufficialmente registrate. Segnali dal Perù, che la miseria delle metropoli suggerisca il ritorno nelle zone rurali di molti poveri, che si porterebbero dietro il virus, ma sui grandi numeri il rapporto rimane quello.

In Brasile oltre Bolsonato anche il peggior virus

Ci aspetteremmo che lo Stato di San Paulo e quello di Rio vedessero la massima concentrazione dei casi. Invece questo si verifica solo per quanto concerne i numeri assoluti (per la cronaca, San Paulo ha tanti abitanti quanti la Spagna) Il rapporto tra contagiati e abitanti non eccede invece di molto quello nazionale. Per San Paulo una parte del merito va sicuramente al governatore Joao Doria, che quanto a test, tracciamenti e trattamenti ha fatto meritoriamente tutto il contrario di quanto suggerito dal grande capo Bolsonaro. E i risultati si vedono.
Ma non basta a spiegare il fenomeno. Al di là dei numeri, che pure aiutano a spiegare la situazione, c’è la storia del Brasile che ci chiarisce cosa sta succedendo. Al nord qualcuno teme un fenomeno assimilabile al genocidio per quello che riguarda gli indios. Lo Stato dell’Amazonas coi suoi 4milioni di abitanti, conta un numero di casi pari ai tre quarti di San Paulo, 10 volte più popolato. Ma la stessa situazione, negli Stati del nord si registra nell’Amapa. Non molto diversa la situazione del Parà, del Roraima e in qualche misura del Maranhao.

Malattie e avidità dell’uomo bianco

Amazonas, indios già falcidiati nel corso degli anni da malattie dell’uomo bianco contro cui non avevano anticorpi. Bolsonaro, che cancella i vincoli agli spostamenti da altri Stati del paese, che in qualche misura li tutelavano. E adesso minatori che si trasferiscono da quelle parti, che si sommano ai turisti, agli uomini di affari (la capitale Manaus è zona franca). Le conseguenze stanno sotto occhi che non possono celare le lagrime.
Parà terra dei garimpeiros, i cercatori d’oro, avventurieri immortalati nelle foto di Salgado che oggi grida allo scandalo. Miniere di ferro, manganese e bauxite perpetuano l’arrivo di portatori del contagio. .
Roraima, terra diamantifera con protagonisti e vittime gli Yanomami gli amici di Sting. I diamanti fanno ancora gola e flussi migratori alzano il numero delle vittime più che nelle grandi città.
E per finire, un gradino più in basso, le coste del Maranhao, attrattiva turistica che ricorda il boom dei contagi in Trentino, Valle d’Aosta e Riviera di Ponente, nei week end che precedettero il nostro lockdown.

Brasile anomalia maledetta

Brasile, un’anomalia maledetta nel quadro mondiale del virus e in particolare di quello del terzo mondo, dove è l’America Latina a collocarsi in un primo piano cui nessuno ambisce.
E’ il Brasile, a ricordarci che non solo di aree metropolitane si nutre il virus, ma della imbecillità degli uomini ovunque si collochino. Soprattutto di quelli piazzati nei palazzi del potere.

Sorgente: Brasile, il virus urbanizzato si espande: sterminio dei nativi più di Bolsonaro –

Please follow and like us:
0
fb-share-icon0
Tweet 20
Pin Share20