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Alcune compagnie vendono biglietti per voli sapendo che li cancelleranno. Enac: «Pronte le sanzioni»

di Leonard Berberi

I biglietti aerei in vendita fanno pensare a voli normali e frequenti. Diretti in località «classiche» visto il periodo (capitali, città turistiche, luoghi di villeggiatura) a prezzi convenienti e orari interessanti. C’è solo un piccolo particolare: molti sono collegamenti che non decolleranno. Non quel giorno. E con ogni probabilità pure nelle settimane successive. La compagnia aerea lo sa. Il passeggero no. L’estate 2020 passerà alla storia come la stagione dei voli «fantasma» in Europa e negli Usa.

In vendita

Migliaia di posti inesistenti venduti a bordo di velivoli ancora fuori uso che portano soldi alle casse dissanguate dei vettori — dopo tre mesi di frontiere chiuse e fermo dei viaggi — e voucher ai clienti. Un bilancio ufficiale non c’è, ma i database internazionali qualche numero lo offrono: se a fine maggio i sedili messi in vendita sui voli in Europa nella settimana 15-21 giugno erano 17,8 milioni, quelli reali sono stati 3,9 milioni. Tutti gli altri? Spariti, anche se venduti in buona parte. Ufficialmente la causa è l’emergenza sanitaria che tra ondate epidemiologiche e restrizioni tra Paesi rende impossibile il volo.

Le ragioni

Dietro le quinte le spiegazioni sono altre. Una è tecnica: «I collegamenti li abbiamo messi in vendita diversi mesi fa e non sono stati mai tolti, anche perché ci aiutano a capire dov’è che “tira” il mercato post-Covid», confidano al Corriere due dirigenti di altrettante low cost europee. Insomma: sanno che non decolleranno, ma li tengono. L’altra motivazione è operativa: «I flussi sono ancora ridotti, gli aerei non si riempiono e così conviene cancellare il volo invece che farlo decollare». Anche perché in cambio — e siamo alla terza ragione — il vettore offre un voucher e non restituisce denaro.

L’intervento dell’Enac

Visto l’andazzo l’Ente nazionale per l’aviazione civile (Enac) ha detto basta. Venerdì ha avvertito le aviolinee che operano in Italia. Ieri ha comunicato di aver avviato «alcune istruttorie per l’erogazione di sanzioni» nei confronti di quelle «che non applicano il regolamento europeo» che prevede — in caso di cancellazioni e mancata informativa — la riprotezione, il rimborso («non il voucher») e la compensazione («ove dovuta»). Secondo l’Enac — che al Corriere non ha voluto dare una lista di vettori sotto osservazione — i voli non possono saltare a causa del coronavirus perché «dal 3 giugno sono state rimosse le restrizioni alla circolazione delle persone» in Italia, nell’area Schengen, nel Regno Unito. Quindi l’accusa: si tratta di «cancellazioni operate per scelte commerciali e imprenditoriali».

«Troppi voli»

«Ci sono molti voli che vengono tolti dai sistemi di prenotazione anche a sette giorni dalla partenza», spiega via e-mail John Grant, analista della società specializzata Oag. «Guardando all’Italia ci sono 2.513 voli previsti questa settimana e 4.500 la prossima, ma è evidente che si tratta di un tasso di crescita improbabile dato il modesto incremento della domanda che stiamo registrando». Insomma: ancora troppi sedili e pochi clienti. Il Corriere ha contattato diverse compagnie, ma non tutte hanno risposto. EasyJet conferma di aver avviato «l’allineamento dei sistemi con le nuove disposizioni» offrendo anche il rimborso, oltre alla riprotezione su un altro volo e al voucher (con un bonus di 10 euro).

Il vettore tricolore

Lo stesso sta facendo Alitalia che sta «aggiornando le modalità di ri-prenotazione e rimborso». I passeggeri dei voli cancellati dal 3 giugno al 30 settembre potranno scegliere un altro collegamento, optare per un buono maggiorato di 15 euro per le rotte nazionali ed europee e di 60 euro per quelle intercontinentali oppure chiedere il rimborso (vale anche per chi ha biglietti da/per Trapani e Trieste). Fuori Italia per ora è una giungla. «Le compagnie ovviamente preferiscono tenersi i soldi e dare i voucher», sottolinea Grant. Toccherebbe alla Commissione europea decidere cosa fare e in fretta. «Ma vista la velocità con la quale l’Ue lavora forse rischiamo di dover aspettare fino al Covid-23».

Sorgente: corriere.it

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