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di Paolo Mastrolilli

DALL’INVIATO A NEW YORK. Persino la cantante Pink, vedendo gli spalti vuoti del BOK Center di Tulsa, si è divertita con un maligno troll indirizzato verso il presidente Trump: «Io avevo fatto il tutto esaurito nello stesso posto in cinque minuti». Quindi ha aggiunto: «Il grande comizio del capo della Casa Bianca si è rivelato in realtà un donkey show», espressione in slang troppo volgare, per essere tradotta in italiano su questo giornale. Ma il titolo più perfido forse lo ha fatto il Drudgereport, fino a ieri affidabile sito di riferimento per i conservatori americani, che ha sfottuto Donald così: «Maga Less Mega», ossia Make America Great Again, collaudato slogan elettorale del presidente, è meno grande. Ora resta solo da capire se l’insuccesso di pubblico, se non il flop di ieri sera, è solo un episodio legato alla paura del coronavirus, oppure il segnale concreto di una vulnerabilità mai vista prima da Trump.

Il capo della Casa Bianca è sotto assedio per il disastro del Covid-19, le proteste razziali seguite all’omicidio di George Floyd, la recessione e la disoccupazione, il nuovo scandalo per il licenziamento del procuratore di Manhattan Berman perché aveva indagato il suo ex avvocato Cohen e Giuliani, le denunce contenute nel libro dell’ex consigliere Bolton che uscirà martedì, perché il giudice Royce Lamberth non ha bloccato la pubblicazione. Persino la Corte Suprema, dove ha rafforzato la maggioranza conservatrice con le nomine dei giudici Gorsuch e Kavanaugh, lo sta tradendo, dai diritti dei gay a quelli immigrati. Un sondaggio di Fox News, la tv alleata di Murdoch, lo dà indietro di 12 punti rispetto a Biden.

Chi leggesse in questi dati la sconfitta sicura di Trump a novembre sbaglierebbe, come nel 2016, quando Hillary aveva un vantaggio simile e dava per scontata la vittoria. Non c’è dubbio però che lui abbia bisogno di rilanciarsi, e perciò ha voluto tenere il comizio di ieri, il primo da quando il virus ha paralizzato il paese. La sua campagna però ha alzato troppo le aspettative, vantandosi del fatto che un milione di persone aveva chiesto il biglietto per entrare nell’arena da 19.000 posti, e loro se ne aspettavano almeno 100.000 in città. Per questa ragione avevano previsto due discorsi, uno da tenere all’aperto per i sostenitori che non erano riusciti ad entrare nel BOK Center, e uno all’interno. L’affluenza però è stata così bassa che il primo evento è stato cancellato, mentre il secondo è avvenuto davanti ad almeno un terzo di sedie vuote. Trump e i suoi portavoce hanno cercato di scaricare la colpa del flop sui manifestanti violenti calati su Tulsa, che però in realtà nessuno ha visto, e quindi si sono consolati col successo dell’audience digitale. In realtà sono scuse, che non hanno convinto neppure Donald, infuriato con i manager della campagna.

Il discorso di un’ora e mezza ha confermato che la sua strategia resta identica a quella di quattro anni fa: cavalcare la spaccatura culturale e ideologica che divide ormai da decenni l’America, sperando che i suoi partigiani siano maggioritari almeno negli stati decisivi a conquistare il collegio elettorale. Zero tentativi di unificare il paese, o quanto meno di mostrare empatia per le vittime del Covid o i neri discriminati. Trump ha citato l’epidemia, che ha ucciso quasi 120.000 americani, solo per rivendicare che lui ha fatto «un lavoro fenomenale» nel contenerla, e scherzare sul fatto che diminuirà i test perché fanno fare brutta figura agli Usa. «La riapertura è iniziata e l’economia tornerà ad esplodere», anche se nel frattempo stanno riesplodendo soprattutto i contagi, inclusa Tulsa, dove però le precauzioni non erano obbligatorie e nell’arena nessuno indossava la maschera.

Donald è tornato ad attaccare la Cina, chiamando il virus «Kung flu», perché ormai scaricare la responsabilità è la sua unica ancora di salvezza, ma il Congressional Research Center ha confermato che il 3 gennaio i CDC di Pechino avevano informato quelli di Washington della polmonite anomala a Wuhan, e quindi la colpa di aver rimandato fino al 14 marzo la proclamazione dell’emergenza negli Usa ricade solo sul capo della Casa Bianca.

Le proteste dopo Minneapolis invece le ha citate soltanto per ripresentarsi come il presidente di legge e ordine, determinato a stroncare i criminali che «vogliono distruggere la nostra eredità storica». Perciò chiederà di condannare ad un anno di prigione chiunque mancherà di rispetto alla bandiera americana.

Una parte del comizio è stata dedicata ad attaccare e definire Biden, dipingendolo come debole con la Cina e gli estremisti della sinistra radicale, e fisicamente non pronto a fare il presidente. Il primo punto però è diventato molto difficile da sostenere, dopo che Bolton nel suo libro ha rivelato come Trump avesse pregato il collega di Pechino Xi ad aiutarlo a vincere le elezioni. Le esitazioni di Donald durante il recente discorso a West Point hanno poi alimentato i dubbi sulle sue condizioni di salute, costringendolo a smentire di avere il Parkinson. Il resto è stato dedicato ai temi abituali, che già riempivano i suoi comizi nel 2016. Questa strategia quattro anni fa aveva funzionato, e non si può escludere che lo faccia rivincere. Gli spalti vuoti di Tulsa però sono stati una sorpresa, e nei prossimi giorni bisognerà cercare di capire il loro vero significato.

Sorgente: A Tulsa Trump non fa il tutto esaurito e va all’attacco di Biden e Cina – La Stampa – Ultime notizie di cronaca e news dall’Italia e dal mondo

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