Venezuela, arrivano le petroliere iraniane: l’alleanza tra due potenze sotto embargo | Rep
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La petroliera iraniana Fortune, attraccata a Puerto Cabello, nello Stato venezuelano di Carabobo
Caracas costretta a ricorrere all’aiuto di Teheran perché i suoi impianti non sono più in grado di raffinare il greggio. Il governo bolivariano pagherà in oro le forniture. Tensione alle stelle con gli Stati Unitidi DANIELE MASTROGIACOMO
Questa volta non ci sarà una seconda crisi dei missili. Niente blocco navale come nel 1962. Gli Usa hanno minacciato fuoco e fiamme ma alla fine hanno deciso di non intervenire. Troppi fronti aperti. Così, domenica mattina la Fortune, la prima delle cinque navi cariche di petrolio iraniano, scortata da elicotteri, aerei e dalla flotta della Marina, accolta dall’inno nazionale iraniano sparato a tutto volume dalla tv di Stato, è attraccata nel porto di El Palito, costa centrale del Venezuela, dove sorge la omonima raffineria. Le altre quattro stanno per entrare in acque territoriali con destino Puerto La Cruz, nordest del Paese, e Amuay, a ovest.Partite da Bandar Abbas, trasportano 1,5 milioni di benzina e di petrolio greggio per un valore di 42,12 milioni di euro. Serviranno ad aiutare un Paese strozzato dalle sanzioni, a secco di carburante, con file ai benzinai anche per un giorno intero, incapace di estrarre quel minimo di petrolio per auto e trattori sebbene sorga sulla seconda riserva di greggio più grande al mondo. È il suggello di un accordo tra la Repubblica degli Ayatollah e la Repubblica bolivariana che risale nel tempo, quando Hugo Chávez stabilì una linea diretta di collaborazione con l’allora presidente iraniano Mahmud Ahmadinejad.Ma il regista di questa audace operazione è stato l’attuale vicepresidente dell’Economia Tareck Al Aissami, un venezuelano di origini libanesi considerato vicino a Hezbollah. Nominato al vertice dell’industria petrolifera, Al Aissami ha intrecciato nuovi rapporti con Teheran proponendo uno scambio petrolio contro oro. Negli anni più floridi della sua avventura politica, il regime di Caracas era in grado di estrarre fino a 3 milioni di barili al giorno, scesi oggi a 600mila per le pessime condizioni in cui si trova la rete degli impianti. Per non parlare delle raffinerie che consentivano fino a un anno fa alla Chevron statunitense di lavorare il greggio dell’Orinoco troppo grasso e pesante, adesso ridotte a cattedrali decadenti per la fuga dei tecnici, la mancata ristrutturazione, la dilagante corruzione e l’assenza dei pezzi di ricambio per l’embargo Usa. La fuga della Rosneft russa ha finito per assestare il colpo di grazia a un sistema in agonia.La benzina approdata sulle coste venezuelane darà una boccata di ossigeno a un Paese che da mesi non riesce più a soddisfare le richieste della popolazione. Il traffico di auto e camion si è rarefatto, il prezzo del carburante è salito a più riprese, i distributori sono spesso chiusi, nelle campagne frutta e verdura restano a marcire nei campi perché manca il gasolio per i trattori e i mezzi meccanici. Nelle scorse settimane erano atterrati a Caracas una serie di aerei della compagnia iraniana Mahan Air con a bordo tecnici e 700 tonnellate di componenti per la lavorazione del carburante. Hanno tentato, finora inutilmente, di ripristinare le raffinerie di El Palito e Cardón. La Pdvsa, la compagnia petrolifera statale, ha bisogno di additivi per la raffinazione del greggio che si trovano sul mercato internazionale. Ma le sanzioni Usa che vietano ogni tipo di scambio o affare con società venezuelane hanno vanificato gli sforzi del governo di Maduro.Non restava che giocare la carta iraniana. Per Teheran, colpita anch’essa dall’embargo Usa dopo la cancellazione dell’accordo sul nucleare, è stata l’occasione per rialzare la testa e lanciare unna nuova sfida a Trump dopo l’umiliazione subita con l’uccisione a Bagdad del capo della Niru-ye Qods iraniana, il generale Qassem Soleimani. Per Caracas, un modo per aggirare le sanzioni Usa e rafforzare un potere che il Covid 19 sta ulteriormente logorando. Tecnici e benzina, secondo l’intelligence statunitense, dovrebbero essere pagati in oro, quello che il regime di Maduro sta saccheggiando, tra miniere illegali e estrazioni legali, nel sud del Paese. Secondo esperti consultati dal Wall Street Journal, la benzina delle cinque petroliere basterà a soddisfare la domanda interna per due settimane. Non ci sono solo auto, camion, bus e trattori da far circolare; ci sono le centrali elettriche, quelle idriche, le industrie lasciate in rovina e spente da mesi. Ma è il primo carico. Ne seguiranno altri. Due Paesi fondatori dell’Opec, entrambi sotto embargo, hanno lanciato la loro sfida.
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