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È sulle piattaforme on line che oggi operano i lavoratori più vulnerabili e così lo smart working rappresenta un’opportunità per il sindacato: quella di tornare sui luoghi di lavoro

di TITO BOERI

Il Primo Maggio celebra la conquista del tempo libero: “Otto ore di lavoro, otto di svago, otto per dormire” si gridava nelle piazze all’inizio del secolo scorso. Quest’anno paradossalmente cade alla vigilia del ritorno al lavoro per molti italiani. Un lavoratore su due ha smesso del tutto di lavorare durante il lockdown in Italia, contro uno su tre nel Regno Unito o uno su quattro in Germania, secondo un’indagine curata da Vincenzo Galasso (vedi lavoce.info). È stato un non lavoro forzato, spesso disperato perché non coperto adeguatamente da ammortizzatori sociali. Chi ha subito riduzioni del proprio reddito era già tra i lavoratori più poveri in partenza. Nonostante le forti perdite che hanno subito, queste vittime economiche del Covid hanno obbedito ai decreti di un governo debole e al contempo invasivo come non mai nel regolamentare ogni frammento della nostra vita quotidiana. Lo hanno fatto perché attribuiscono grande valore alla salute, la stessa ragione per cui le norme sul divieto di fumo sono tra le poche leggi davvero rispettate in Italia. Non basterà comunque una fase due ancora molto nebulosa per far risalire i loro redditi e ci vorrà del tempo per assicurare a tutti condizioni di sicurezza adeguate tanto sul lavoro che negli spostamenti verso il lavoro. Serviranno perciò ammortizzatori sociali molto più selettivi di quelli utilizzati sin qui: in grado di dare di più e a lungo solo a chi ne ha davvero bisogno, anziché offrire un bonus a tutti.

Non basterà un decreto per far ripartire il lavoro anche perché le persone hanno bisogno di capire quali criteri si stanno seguendo nel decidere chi può lavorare e chi no. Inizialmente è stato consentito solo ad alcuni settori di tornare in attività dimenticando che le aziende possono funzionare solo se hanno fornitori anch’essi in grado di operare. Adesso si è deciso di aprire tutto tranne il commercio al dettaglio, il turismo, lo spettacolo e poco altro.

Si è guardato alla sicurezza? Se così fosse, avremmo dovuto liberalizzare guardando alle mansioni piuttosto che ai settori. In tutti i comparti ci sono lavori che possono essere svolti da casa o con poca mobilità e sporadici contatti con altre persone. E per un’impresa è molto più facile modificare l’organizzazione del lavoro al suo interno che cambiare filiera produttiva. In queste settimane le imprese hanno dimostrato una grande capacità di adattamento: a inizio marzo solo il 6% delle imprese utilizzava lo smart working per più di due terzi dei propri dipendenti. Oggi questa percentuale è salita al 75% secondo una recente indagine Manageritalia.

Si è pensato di tornare a offrire ai cittadini la più ampia gamma possibile di beni di consumo per sostenere la domanda? Ma allora perché escludere comparti come il commercio al dettaglio e il turismo che assorbono quasi un quarto dei bilanci famigliari? Se le condizioni di sicurezza possono essere garantite nei supermercati non si vede perché non sia possibile garantirle anche nel caso di molti piccoli esercenti.

Il Primo Maggio è anche la festa del lavoro organizzato. Il sindacato ha oggi di fronte a sé compiti ancora più impegnativi che in passato. Dovrà far sì che l’accelerazione del progresso tecnologico resa necessaria dalla messa in sicurezza di molti lavori, soprattutto nel manifatturiero, si accompagni ad adeguati piani di formazione dei dipendenti. Il sostegno pubblico alle imprese che avranno problemi di sostenibilità del debito accumulato in questa fase potrebbe proprio consistere nell’accollarsi i costi di questa massiccia riqualificazione della manodopera, anziché nel ricreare uno stato imprenditore.

Le organizzazioni dei lavoratori dovranno anche saper cogliere le opportunità che si apriranno per i lavoratori meno qualificati in attività di vigilanza sul rispetto delle norme sul distanziamento fisico (smettiamo di chiamarlo distanziamento sociale!) e di sanificazione di ambienti, favorendo lo spostamento verso queste attività di chi non riuscisse a stare al passo con la digitalizzazione di molte attività. Per fare tutto questo il sindacato dovrà necessariamente tornare dove è nato, presidiando i luoghi di lavoro anziché la sala verde di Palazzo Chigi, perché i protocolli di sicurezza e i piani di formazione si definiscono in azienda.

Nel raggiungere i lavoratori meno protetti, nell’arrivare al mondo delle piccole imprese, il sindacato può oggi contare su di un alleato di cui fino a pochi mesi fa ignorava l’esistenza. Lo smart working sta diventando un potentissimo strumento in mano al sindacato per organizzarsi e per raggiungere i lavoratori. Ora che se ne è, giocoforza, impossessato, ha capito che in questo modo si possono convocare riunioni molto più rapidamente, permettendo a molte più persone di esprimersi. Costa meno fare il sindacato sul web e si può anche farlo meglio consultando più spesso i lavoratori cui si vuole attribuire una voce collettiva. È anche questo, dopotutto, un modo per il sindacato di tornare sui luoghi di lavoro: è proprio sulle piattaforme on line che oggi operano i lavoratori più vulnerabili.

Sorgente: Primo Maggio, il fragile operaio virtuale | Rep

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