0 11 minuti 4 anni

Quando si chiuderà questa drammatica pandemia, l’Organizzazione mondiale della sanità dovrà rispondere del ritardo con cui è stata comunicata. Solo un’inchiesta internazionale indipendente potrà chiarire se davvero l’organizzazione, istituita dall’Onu nel 1948 con funzione di vigilanza sanitaria mondiale, ha commesso errori. Oggi sta anche supervisionando più di 35 operazioni di emergenza (dal focolaio di morbillo in Congo a quello di colera nello Yemen) e coordinando gli interventi contro tubercolosi, diabete, poliomielite e malattie tropicali.

È finanziata dai 194 Paesi membri con contributi fissi in base al Pil, sostanzialmente congelati dal 1987, e da contributi volontari (qui tutta la lista).Questi ultimi, che rappresentano la parte più consistente, provengono anche da una moltitudine di soggetti privati: parliamo di 4,6 miliardi di dollari su un budget complessivo di 5,6. Il primo contribuente sono gli Stati Uniti che versano in totale 893 milioni di dollari. Al secondo posto troviamo Bill e Melinda Gates con oltre 600 milioni, al terzo il Regno Unito con quasi 400, al quarto Gavi Alliance (di Bill Gates) con 370, poi il Rotary Club, il National Philantropic Trust e la Cina è al 14esimo posto con 85,8 milioni.
Di fatto l’Oms gestisce il 20% del suo budget, perché il resto sono progetti specifici decisi dai privati, e non tutti trasparenti. Un’organizzazione quindi indebolita dalla mancanza di soldi, e di personale con grande esperienza, liquidato per assumere giovani a contratto.
Le accuse al direttore generale

Chi comanda e decide è il direttore generale, che da statuto «non deve domandare né ricevere istruzioni da nessun governo od autorità straniera». Nel 2017, per la prima volta nella storia dell’Oms, a scegliere non è un gruppo ristretto di 34 membri, ma i rappresentanti di tutti i 194 Paesi, e per la prima volta votano un africano: Tedros Adhanom Ghebreyesus, ex ministro della sanità e degli esteri dell’Etiopia. Accusato da quasi tutti i Paesi e organi di stampa di essere venuto meno al suo dovere primario: la tempestività nell’informare il mondo sulla pandemia in arrivo. Ecco com’è andata.

Oms, chi comanda davvero: i 194 stati, Bill Gates o la Cina?
Gli elogi alla Cina

Il primo ricovero all’ospedale di Wuhan di un malato di Covid-19 è dell’8 dicembre 2019, ma i funzionari cinesi riferiscono agli uffici Oms di Pechino dell’esistenza di casi atipici di polmonite il 31 dicembre (già con Sars la Cina aveva occultato i dati). L’Oms, da Ginevra, informa il mondo con un tweet il 4 gennaio, e solo il 30 gennaio, quando i contagi ufficiali sono già 7.836 e 18 i paesi coinvolti, il direttore generale dichiara Pheic, «un’emergenza sanitaria internazionale». Nella stessa conferenza stampa si sente in dovere di elogiare la Cina: «La velocità con cui ha rilevato l’epidemia, isolato il virus, sequenziato il genoma e condiviso con l’Oms e il mondo è molto impressionante e oltre le parole. La Cina sta definendo un nuovo standard per la risposta alle epidemie. Non è un’esagerazione». In realtà il ritardo nella comunicazione della Cina stava andando di pari passo con la sottostima dei contagi e il ridimensionamento della portata dell’allarme. Secondo Lancet, al 20 febbraio sarebbero stati 232 mila i contagiati in Cina, contro i 55.508 segnalati. E solo il primo aprile la Cina riconosce il ruolo degli asintomatici. Ancora il 26 febbraio l’Oms è prudente: «L’incremento dei casi fuori la Cina ha portato alcuni media e politici e spingere per la dichiarazione di uno stato di pandemia. Noi non dovremmo essere troppo impazienti, senza un’attenta analisi dei fatti». E sconsiglia restrizioni al traffico aereo verso la Cina. Solo l’11 Marzo, quando il numero dei contagi si era allargato a 114 Paesi, l’Europa in ginocchio, e 4.291 persone che hanno perso la vita, arriva l’annuncio: «Abbiamo valutato che Covid-19 può essere definito come pandemia».

Come avviene la trasmissione

L’Oms conferma la trasmissione interumana il 21 gennaio, e solo il 27 febbraio viene definito che avviene mediante droplets, mentre gli Ecdc europei lo avevano già dimostrato il 2 febbraio. Il ritardo si ripercuote sulle misure di protezione: sull’uso delle mascherine nella popolazione generale, Tedros ne sconsiglia l’utilizzo. Ancora il 6 aprile, quando ormai le evidenze scientifiche mostrano l’efficacia dell’uso di mascherine chirurgiche, dichiara che dovrebbero essere riservate ai lavoratori della sanità, e consiglia ai decisori politici di applicare un approccio basato sul rischio di esposizione al Covid-19 in base alla densità della popolazione. La prima indicazione chiara su cosa fare arriva il 16 marzo: «Testare ogni caso sospetto, se positivo isolarlo, tracciare i contatti nei due giorni precedenti ai sintomi e testare anche loro». Una strada già indicata dalla Corea del Sud: a metà febbraio aveva avviato una tempestiva campagna di test e tracciamenti di massa per bloccare i focolai, portando in un mese i contagi quasi a zero. Ma quale interesse aveva Tedros a tentennare, in un momento in cui l’Oms ha bisogno disperato di fondi?

Chi è Tedros

È stato un eccellente Ministro della sanità in Etiopia, e le sue riforme hanno diminuito la mortalità infantile. Tuttavia sul suo mandato grava l’accusa, sempre respinta, di aver insabbiato 3 epidemie di colera (2006, 2009, 2011), declassandole a diarrea. Dal 2012 al 2016, mentre è Ministro degli affari esteri, gli investimenti della Cina in Etiopia accelerano. A fine mandato si candida alla guida dell’Oms, e l’attività di lobby cinese in suo sostegno dura due anni. Il suo discorso prima del voto è stato chiaro: «Nella battaglia sanitaria voglio stare al fronte». Uno dei primi atti di Tedros da Direttore Generale è stato quello di nominare ambasciatore di buona volontà Mugabe, 93 anni, ex dittatore dello Zimbawe, alleato storico della Cina. Nei suoi 37 anni di malgoverno il paese è diventato un caso di disperata corruzione, miseria diffusa e violazione dei diritti umani su larga scala. Solo la levata di scudi interna ha costretto Tedros a ritirare la nomina.

I rapporti Cina-Etiopia

La Cina è il più grande partner commerciale dell’Etiopia: finanzia infrastrutture ferroviarie, di telecomunicazioni, autostrade, centrali idroelettriche. La precondizione è l’affido esclusivo di appalti ad aziende cinesi. Nel 2016 inaugura il gigantesco parco industriale di Hawassa, dove disloca la sua manifattura (costa meno che in Bangladesh). Sempre nel 2016 sono stati registrati dalla commissione etiope per gli investimenti più di 1.000 progetti cinesi: industria, costruzioni, immobiliare. Ad oggi gli investimenti ammontano a 24,5 miliardi dollari (fonte Aei). La Cina è anche il primo fornitore di armi all’esercito etiope. E l’Etiopia è il suo hub per la strategia di lungo periodo nell’approvvigionamento delle materie prime che stanno nel resto del continente africano, perché è nella capitale Addis Abeba che si incontrano i governi.

C’è la sede dell’Unione Africana: un palazzo di 20 piani donato dalla Cina nel 2012. C’è la sede della Commissione Economica per l’Africa dell’Onu, e hanno base le più importanti organizzazioni non governative. In sostanza fa quello che l’Europa ha fatto per 200 anni, senza però rompere le scatole sui diritti umani. E l’Etiopia ricambia: è stato il primo paese africano ad opporsi alla proposta Onu di sanzioni alla Cina per la violazione dei diritti umani in Tibet.
Dal 5G ai farmaci contraffatti

Ogni Paese gioca la propria partita. Oggi altre quattro importanti agenzie Onu sono a guida cinese: la Fao, l’Organizzazione delle Nazioni Unite per lo sviluppo industriale, l’Organizzazione per l’aviazione civile internazionale, l’Unione internazionale per le telecomunicazioni, che definisce gli standard mondiali nell’uso delle onde radio. Mentre sul tavolo dell’Oms ci sono le questioni del secolo: la valutazione sulla sicurezza del 5G, e i rapporti con Impact, la task force che lotta contro la contraffazione dei farmaci (il 7% del totale), molto avversata dai Paesi asiatici. Metà della contraffazione è cinese, e decine di medicinali a larghissima diffusione contengono impurità potenzialmente cancerogene. La stima del valore globale sfiora nel 2020 i 1.000 miliardi di dollari. Poi c’è la questione del vaccino contro il Covid-19. Quando finalmente lo avremo, l’Oms dovrebbe avere voce in capitolo per renderlo accessibile a tutti. Ci sarà da lottare. E proprio nel mezzo della pandemia il Presidente Trump, che dal 2017 non ha nemmeno nominato il membro Usa nell’executive board, decide di sospendere i finanziamenti all’Oms, e lavora alla costruzione di organizzazioni alternative. Quindi della prossima epidemia se ne occuperanno i marines? O Bill Gates? Nulla è più geopolitico della salute.

La fabbrica del mondo a basso costo

Stati Uniti, Europa e Giappone si sono da tempo allontanati dai principi che hanno ispirato la cooperazione tra i popoli, trovando maggiori benefici nei trattati dell’Organizzazione mondiale del commercio. Alle agenzie Onu è stato impedito di mettere becco. La globalizzazione ha prodotto enormi ricchezze per pochi, ed ha regole cogenti: se violo una postilla del Wto pago penali miliardarie, se me ne vado dall’accordo di Parigi sul clima non succede nulla. Abbiamo voluto che la Cina diventasse la fabbrica del mondo a basso costo, poi esplode un virus a Wuhan, centinaia di migliaia di persone si ammalano a Milano o a New York, e non hanno la mascherina, i camici, i presidi sanitari, perché li fabbricano a Wuhan. Il virus ha svelato l’effetto di una interconnessione inestricabile. Vanno rimesse in discussione le cause. Per far fronte alle minacce che incombono sulle nostre vite, dalla rottura dell’ecosistema al debito dei paesi depredati, ad altre pandemie che arriveranno, occorre rafforzare quell’Organizzazione nata da lacrime e sangue, costruendo però un nuovo multilateralismo insieme ai 5 continenti per uno sviluppo sostenibile. E l’unico modo per mettersi d’accordo è la sopravvivenza dell’umanità.

Sorgente: Oms, chi comanda davvero: i 194 stati, Bill Gates o la Cina? | Milena Gabanelli – Corriere.it

Please follow and like us:
0
fb-share-icon0
Tweet 20
Pin Share20