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La drammatica testimonianza di Kidane, uno dei 700 ospiti del campo a sud ovest di Tripoli. “Costretti a dormire in 24 in una cella di sei metri quadrati, è impossibile difenderci dal virus” 

di FABIO TONACCI

ROMA – A 160 chilometri a sud-ovest di Tripoli c’è un non luogo dove Kidane (il nome è di fantasia ndr)e altri cinquecento eritrei ed etiopi sono rinchiusi da un anno e nove mesi. Sono richiedenti asilo con bisogno di protezione internazionale, registrati dall’Alto Commissariato Onu per i rifugiati come tali. Eppure, come tali, incredibilmente abbandonati. Sospesi nel niente. E stanno morendo uno dopo l’altro.

Non sanno quando usciranno, non sanno se usciranno, hanno già visto 25 persone crollare a terra e morire di fame, stenti e tubercolosi. Come se non bastasse, sono assediati dal Covid-19, che non ha risparmiato la Libia precipitata da mesi nella guerra civile. Ma in questo non luogo nel distretto di Al-Jabal al-Gharbi che risponde al nome di “Centro governativo di Zintan” non esiste possibilità di difesa dal virus. Non c’è acqua per lavarsi, non c’è sapone, non ci sono mascherine e il distanziamento sociale è impossibile anche solo da immaginare. “Dormiamo in ventiquattro in una cella due metri per tre”, racconta Kidane, eritreo di 30 anni, uno dei pochissimi detenuti che ha il cellulare. Due metri per tre, cioè sei metri quadrati. Ventiquattro persone. “Sì sì, hai capito bene…”, ripete. Kidane è anche riuscito a girare un breve filmato nel cortile del Centro di Zintan, dove l’unico riparo dal sole bollente è un coperchio di latta.

Libia, l’inferno del centro migranti di Zintan nel filmato di un detenuto: nessuna protezione anti Covid

 

Quanti siete precisamente?
“Fino a pochi giorni fa eravamo 442, tra eritrei e somali. Ora sono arrivate altre 200 persone, che avevano tentato di raggiungere l’Europa via mare ma sono state catturate dai libici”.

Com’è la situazione?
“Disperata. E siamo terrorizzati dal Covid-19: non sappiamo se qualcuno dei nuovi arrivati è infetto, o se lo siamo noi. Ogni giorno entrano ed escono dal Centro sei guardie libiche, che vengono ad osservarci, non ci dicono niente e non ci danno informazioni”.

Personale dell’Organizzazione mondiale per le migrazioni, all’inizio dell’epidemia, è entrato per spiegarvi quali precauzioni prendere.
“Sì, certo. Ci hanno detto di lavarci spesso le mani. Solo che non abbiamo il sapone, e l’acqua per l’igiene personale, che è salata, è scarsa. Mascherine? Non so nemmeno come sono fatte. Siamo talmente tanti, sporchi e abbandonati a noi stessi, che dobbiamo solo pregare che il virus non entri mai. Altrimenti moriremo tutti”.

Migranti, nel centro di detenzione a Zintan: "Senza acqua, sapone e mascherine, siamo terrorizzati dal Covid"

Le celle di una delle sezioni del Centro di detenzione migranti di Zintan

Da quanto è nel centro di Zintan?
“Da un anno e otto mesi, dal settembre del 2018. Sono arrivato in Libia nel giugno del 2017, fuggendo dalle persecuzioni e le torture che avvengono nel mio Paese. Sono finito a Zintan, dove l’Unhcr (l’Alto Commissariato Onu per i rifugiati, ndr), che qui è composto da personale libico, mi ha registrato come richiedente asilo. Pensavo che fosse la fine dell’incubo, perché loro sono l’Onu…”.

Non sa quando uscirà? L’Unhcr cosa vi ha comunicato?
“Nessuno ci dice niente, non c’è speranza. L’unico supporto che abbiamo è quello dei ragazzi di Medici Senza Frontiere, che vengono a portarci medicinali e acqua da bere. Senza di loro, avrei visto morire più di 25 persone”.

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 Catini di acqua portati all’interno del Centro, dove sono sono da poco arrivati altri 200 migranti

Vi danno da mangiare?
“Le autorità libiche ci portano una piccola porzione di pasta bollita, senza alcun condimento, due volte al giorno. Abbiamo una bottiglia d’acqua dolce che siamo costretti a condividere in dieci”.

E dove dormite?
“Ci sono due sezioni: nella prima 8 celle, nella seconda 14 celle. Ma lo spazio è ridottissimo, da soffocare. Dobbiamo dormire avvolti in coperte sudicie e ammassati a gruppi di venti”.

Le guardie libiche vi picchiano?
“A volte è capitato, ma non così di frequente come in altri centri di detenzione dove torturano la gente. Ma stiamo lo stesso morendo, di paura e di fame. E’ come essere all’inferno. Vi prego, fate qualcosa per noi…”.

La comunicazione si interrompe, il segnale è debolissimo. Mentre Kidane parlava si sentiva qualcuno che alzava la voce, come se stesse litigando. “Zintan è uno dei centri ufficiali di detenzione più disumani in Libia”, chiosa l’avvocato Giulia Tranchina, dello studio legale londinese Wilson Solicitors. “E’ diretto dalle autorità di Tripoli, che ricevono i finanziamenti dell’Unione Europea, gestiti proprio dall’Italia. Le autorità di Tripoli costringono centinaia di esseri umani a vivere in condizioni disperate, e sono responsabili dei 25 morti di Zintan. Il tutto nell’impotenza delle agenzie Onu”.

Sorgente: Migranti, nel centro di detenzione a Zintan: “Senza acqua, sapone e mascherine, siamo terrorizzati dal Covid” – la Repubblica

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