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Con la riapertura delle attività economiche e sociali ci esponiamo a rischi che sono evitabili. Esposizione al virus x tempo è la formula del contagio (che avviene al chiuso)

di Erin S.Bromage*

Molti cominciano a tirare un sospiro di sollievo, ma francamente non capisco perché. La curva epidemiologica presenta una linea ascendente prevedibile e, una volta raggiunto il picco, una linea discendente che può essere ugualmente calcolata. Dalla comparsa della pandemia in Cina e in Italia, abbiamo raccolto dati sufficienti a dimostrare che la fase discendente della curva si esaurisce molto lentamente, con una mortalità che si protrae nell’arco di mesi. Immaginando di aver raggiunto il picco a 70.000 morti negli Stati Uniti, è probabile che andranno perse altre 70.000 vite umane nel giro delle prossime sei settimane: questo è quanto accade se vengono mantenute le misure di quarantena. Tuttavia, man mano che i singoli stati americani tornano alla normalità, offrendo al virus nuove occasioni di diffusione, può succedere di tutto. Capisco le ragioni che spingono i governi al rilancio dell’economia, ma come già detto, se non rispettiamo il modello biologico, l’economia non potrà risollevarsi. Alcuni stati hanno registrato un calo notevole nel numero dei nuovi contagi. Ma al 3 maggio questi numeri risultano ancora in aumento nella maggior parte degli stati, eppure si procede alla riapertura. Nell’andamento della pandemia in America, se escludiamo i dati provenienti da New York e guardiamo al resto degli Usa, si nota che il numero giornaliero dei casi è in crescita. In conclusione: l’unico motivo per cui i nuovi casi nell’insieme degli Stati Uniti sembrano aver toccato il picco in questo momento, è perché il contagio a New York, dopo aver raggiunto cifre altissime, da qualche giorno comincia a dar segno di contrazione.

Fonte: Database del New York Times, dai bollettini sanitari locali e statali, dati al 3 maggio Fonte: Database del New York Times, dai bollettini sanitari locali e statali, dati al 3 maggio

Pertanto è chiaro che, se ci si affretta a tornare alla vita normale, sarà come gettar benzina sul fuoco del virus da un capo all’altro del paese. Succederà, purtroppo. Lo scopo di questo articolo è aiutarvi a riconoscere le situazioni più a rischio, per evitare di contagiarvi.

Dove ci si ammala di più

Sappiamo che la stragrande maggioranza delle persone si ammala in casa propria. Un componente della famiglia si infetta nella comunità e porta il virus tra le pareti domestiche, dove il contatto prolungato con i familiari favorisce la diffusione della malattia. Ma in quali luoghi della comunità ci si ammala? Si sente spesso parlare del timore di infettarsi quando si fa la spesa nei negozi, o quando si va in bicicletta, o si passa accanto a quei podisti incoscienti che non portano la mascherina… sono questi i luoghi che devono preoccuparci? In realtà, no. E vi spiego perché. Per contrarre la malattia, occorre esporsi a una carica virale tale da risultare infettiva. In base agli studi fatti su altri coronavirus, basta anche una carica virale piuttosto bassa. Alcuni esperti stimano che siano sufficienti appena 1000 particelle virali di Sars-CoV-2 per ammalarsi. Occorre tener presente, tuttavia, che questi dati devono ancora essere confermati dalla ricerca, ma possiamo utilizzare quel numero per dimostrare come avviene la trasmissione del virus. Questa può avvenire tramite 1000 particelle virali assorbite in un unico respiro, o strofinandosi gli occhi; tramite 100 particelle virali inalate con 10 respiri, o ancora tramite 10 particelle virali inalate con 100 respiri. Ognuna di queste situazioni può consentire il passaggio del virus.

In quali quantità il virus si diffonde nell’ambiente

In bagno: in bagno si trovano molte superfici che vengono toccate di frequente, maniglie, rubinetti, porte. Perciò il rischio di trasferire il virus tramite superfici e oggetti contaminati, in un ambiente come il bagno, può essere elevato. Non sappiamo ancora se viene espulso materiale infettivo nelle feci, oppure semplicemente frammenti di virus, ma sappiamo che lo sciacquone è in grado di trasformare le goccioline d’acqua in aerosol. Esercitate la massima cautela nei bagni pubblici (sia per le superfici che per l’aria che respirate), finché non ci saranno nuove prove scientifiche.

Il colpo di tosse: un unico colpo di tosse rilascia circa 3.000 goccioline, espulse a 80 km orari. Queste goccioline sono per la maggior parte grosse e pesanti e ricadono quasi subito per effetto della gravità, ma molte restano sospese nell’aria e sono in grado di attraversare una stanza in pochi secondi.

Lo starnuto:un unico starnuto emette circa 30.000 goccioline, ma queste viaggiano fino a 300 km orari. La maggior parte di esse sono minuscole e si spostano su grandi distanze (facilmente da un capo all’altro di una stanza). Se una persona è contagiosa, le goccioline di un unico colpo di tosse o di un unico starnuto potrebbero veicolare fino a duecento milioni di particelle virali, che vanno a disperdersi nell’ambiente circostante.

Il respiro:un unico respiro è in grado di rilasciare da 50 a 5000 goccioline. Molte di queste viaggiano a bassa velocità e precipitano quasi subito a terra. Con la respirazione nasale si emette un numero ancor più basso di goccioline. È importante notare che grazie alla scarsa potenza dell’espirazione, non vengono espulse le particelle virali provenienti dal tratto respiratorio profondo. A differenza dello starnuto e della tosse, che rilasciano quantitativi enormi di materiale infettivo, le goccioline emesse dalla respirazione contengono bassi livelli virali. Non abbiamo ancora le cifre esatte per Sars-CoV-2, ma possiamo far riferimento all’influenza. Le ricerche hanno dimostrato che una persona ammalata è in grado di emettere 33 particelle virali infettive al minuto. Diciamo 20, per semplificare.

Ricordate la formula: infettarsi=esposizione al virus x tempo

Se una persona tossisce o starnutisce, quei duecento milioni di particelle virali si diffondono ovunque. Alcune restano sospese in aria, altre si depositano sulle superfici, per la maggior parte ricadono a terra. Perciò se vi trovate con qualcuno a scambiare due parole, e quella persona vi starnutisce o tossisce direttamente in faccia, potreste facilmente inalare fino a 1000 particelle virali e infettarvi.

Ma anche se quello starnuto o quel colpo di tosse non è stato diretto verso di voi, alcune goccioline infette – le più piccole in assoluto – resteranno sospese in aria per alcuni minuti, diffondendo le particelle virali in ogni angolo di una stanza di dimensioni medie. Basterà entrare in quella stanza pochi minuti dopo il colpo di tosse o lo starnuto e fare qualche respiro, ed ecco che potenzialmente potreste aver assorbito una carica virale sufficiente a farvi ammalare.

Nella normale respirazione, con 20 particelle virali al minuto diffuse nell’ambiente, anche qualora ogni virus finisse nei vostri polmoni (cosa assai improbabile), vi occorrerebbero 1000 particelle virali diviso 20 al minuto = 50 minuti. L’atto del parlare aumenta di dieci volte l’emissione delle goccioline provenienti dalla respirazione, all’incirca 200 particelle virali al minuto. Di nuovo, ammettendo di aver inalato ogni singolo virus, ci vorrebbero quasi 5 minuti di conversazione faccia a faccia per ricevere la dose infettiva. L’esposizione al virus, moltiplicata per il tempo, rappresenta la formula basilare che consente di rintracciare i contatti. Chiunque si intrattenga a parlare con voi per oltre 10 minuti, faccia a faccia, rischia il contagio. Chiunque condivida con voi un ambiente chiuso (l’ufficio, per esempio) per un periodo prolungato, rischia il contagio. Per questo è essenziale che i malati sintomatici restino confinati in casa. I vostri starnuti e i vostri colpi di tosse emettono una carica virale così elevata che potreste infettare tutte le persone presenti in un’intera stanza.

Qual è il ruolo degli asintomatici nella diffusione del virus?

I malati sintomatici non sono l’unica via per la diffusione del virus. Sappiamo che almeno il 44 percento di tutte le infezioni – e la maggior parte dei contagi da comunità – avvengono attraverso persone che non manifestano sintomi (malati asintomatici o pre-sintomatici). Potreste diffondere in virus attorno a voi fino a cinque giorni prima della comparsa dei sintomi. Le persone infette possono essere di ogni età, e diffondono cariche virali diverse. La figura qui sotto dimostra come, a prescindere dall’età (asse x), si può essere portatori di cariche virali trascurabili o ingenti (asse y).

Coronavirus, dove ci si ammala di più? Ecco come riconoscere i rischi ed evitarli

La quantità di virus emessa da una persona malata varia nel corso dell’infezione, e anche da individuo a individuo. La carica virale di solito aumenta al punto tale che il malato diventa sintomatico. Pertanto, fino a poco tempo prima della comparsa dei sintomi, il malato diffonde il maggior numero di virus nell’ambiente circostante. Particolare interessante, i dati dimostrano che il 20 percento dei malati emette il 99 percento della carica virale dispersa nell’ambiente.

Quali sono i rischi a cui ci esponiamo nel caso di ripartenza della vita economico-sociale?

Quando si parla di focolai di infezione, quali sono i più noti? Il pensiero corre subito alle navi da crociera. Niente affatto. I focolai sulle navi, anche se preoccupanti, non entrano nella classifica dei 50 peggiori focolai riscontrati fino ad oggi. Tralasciando la terribile situazione delle case di riposo, si scopre che i principali focolai sono da ricercarsi negli istituti penitenziari, nelle cerimonie religiose e nei luoghi di lavoro, come i call center e gli impianti di confezionamento della carne. Tutti gli ambienti chiusi, con insufficiente circolazione dell’aria e alta densità di personale, sono ideali alla diffusione del virus. Tra le occasioni di super diffusione del virus troviamo:
– produzione e confezionamento della carne: in questi impianti, gli operai lavorano a stretto contatto tra di loro e sono costretti a parlarsi in un ambiente molto rumoroso per i macchinari in azione, e a basse temperature (che facilitano la sopravvivenza del virus). Negli Stati Uniti, si contano focolai in 115 industrie alimentari distribuite in 23 stati, i casi positivi superano i 5000, e si contano finora 20 morti
– matrimoni, funerali, compleanni: rappresentano il 10 percento delle occasioni iniziali di contagio
– riunioni di lavoro: presenza e interazione faccia a faccia, come il convegno della Biogen a Boston a fine febbraio. Quando torniamo al lavoro, o andiamo al ristorante, vediamo quali sono i rischi a cui siamo esposti in questi ambienti.

Ristoranti:Una grande indagine epidemiologica sul campo ha dimostrato chiaramente gli effetti di un unico portatore asintomatico nell’ambiente della ristorazione (vedi sotto). La persona infetta (A1) era seduta a tavola con nove amici. La cena era durata un’ora, un’ora e mezza. Durante il pasto, il portatore asintomatico aveva emesso bassi livelli di virus nell’aria con la semplice respirazione. La circolazione dell’aria nel ristorante (dalle bocchette della climatizzazione) andava da destra a sinistra. Circa la metà delle persone sedute al tavolo del nostro soggetto si sono ammalate la settimana successiva. Ma anche il 75 percento delle persone sedute al tavolo accanto, sottovento, si è infettato. E persino 2 dei 7 commensali seduti al tavolo sopravvento sono stati contagiati (si presume per effetto dei vortici d’aria). Ai tavoli E e F non si è ammalato nessuno, perché le persone erano lontane dal flusso d’aria principale, proveniente dal condizionatore a destra e diretto all’aspiratore situato a sinistra della stanza.

Coronavirus, dove ci si ammala di più? Ecco come riconoscere i rischi ed evitarli

Luoghi di lavoro: ricordiamo il focolaio che si è sviluppato in un call center a Seoul (vedi sotto, Fig. 2). Un unico dipendente contagiato si è recato al lavoro all’undicesimo piano di un edificio. Su quel piano lavoravano 216 dipendenti. Nell’arco di una settimana, 94 persone si sono ammalate (il 43,5 percento delle sedie blu). 92 di loro hanno accusato sintomi, mentre solo 2 sono rimaste asintomatiche. Notate come un solo lato dell’ufficio rappresenta la zona infetta, perché sono stati contagiati pochissimi impiegati che si trovavano dall’altra parte. Non si conosce però il numero esatto dei contagi tramite goccioline o esposizione al respiro in rapporto invece alla trasmissione tramite superfici contaminate (maniglie, distributori dell’acqua, pulsanti dell’ascensore, ecc.) Questo dimostra che trascorrere molto tempo in un luogo chiuso, a respirare la stessa aria, fa aumentare il rischio di infezione. Sono stati contagiati altri 3 dipendenti, che lavoravano su altri piani dello stesso edificio, ma i ricercatori non sono riusciti ad attribuire la loro infezione al focolaio principale dell’undicesimo piano. È interessante notare come, nonostante gli scambi frequenti tra gli impiegati distribuiti sui vari piani dell’edificio attraverso l’utilizzo degli ascensori e dell’atrio, il focolaio sia rimasto localizzato su quell’unico piano . Con questo si ribadisce l’importanza del fattore esposizione e del fattore tempo nella diffusione del Covid-19.

Figura 2: Piantina dell’undicesimo piano dell’edificio X, focolaio del coronavirus, a Seoul, Corea del Sud, 2020. In blu le postazioni dei dipendenti contagiati. Figura 2: Piantina dell’undicesimo piano dell’edificio X, focolaio del coronavirus, a Seoul, Corea del Sud, 2020. In blu le postazioni dei dipendenti contagiati.

Il coro:si tratta del coro di una chiesa nello stato di Washington. I coristi, ben consapevoli dei rischi, non hanno tralasciato nessuna precauzione per evitare i contagi, rinunciando ad abbracci e strette di mano, portando sempre con sé il proprio spartito musicale per non condividerlo con gli altri, e praticando il distanziamento sociale durante le prove. Prima delle prove, raccomandavano ai partecipanti di restare a casa, se avvertivano un qualunque sintomo. Ma un unico portatore asintomatico è riuscito a contagiare tutti i membri del coro. Il coro aveva cantato per oltre due ore, al chiuso, in una sala prove delle dimensioni di una palestra di pallavolo. Ma cantare, ancora di più rispetto a parlare, trasforma le goccioline in aerosol con grande efficacia. La respirazione profonda, necessaria al canto, facilita l’immissione delle goccioline fin dentro i polmoni. L’esposizione al virus per oltre due ore ne ha facilitato la diffusione. Nel giro di quattro giorni, 45 dei 60 membri del coro hanno sviluppato sintomi, e ci sono stati due decessi. Tra i contagiati, il più giovane aveva 31 anni, ma l’età media era di 67 anni .

Sport al chiuso: In una gara di curling, sport tipicamente canadese, un super diffusore ha contagiato ben 72 partecipanti. Il curling prevede lo stretto contatto tra i giocatori e le squadre in un ambiente fresco, al chiuso, con respirazione intensa per un periodo di tempo prolungato. Il torneo si è concluso con 24 contagiati su 72 presenti.

Feste di compleanno e funerali: Per capire quanto può essere banale la catena dell’infezione, ecco una storia vera da Chicago. Bob – lo chiameremo così – si era infettato senza saperlo. Poco tempo dopo ha cenato con due familiari (con piatti e posate in comune). La cena è durata tre ore. Il giorno dopo, Bob è andato a un funerale e ha abbracciato parenti e amici per porgere le sue condoglianze. Nel giro di quattro giorni, i due familiari che erano con lui a cena si sono ammalati. Un terzo parente, che ha abbracciato Bob al funerale, si è contagiato. Ma non è finita. Bob si era recato a una festa di compleanno con nove invitati. Baci e abbracci e rinfresco nel corso della festa, durata circa tre ore. Sette dei convitati si sono ammalati. Nei giorni successivi, anche Bob ha cominciato a manifestare i sintomi del coronavirus, è stato ricoverato in ospedale, successivamente intubato, ed è morto. Ma la catena del contagio non si è interrotta con la sua morte. Tre delle persone infettate alla festa di compleanno sono andate in chiesa, dove hanno cantato e portato in giro il cestino delle offerte, ecc. I fedeli di quella chiesa si sono ammalati. In tutto, Bob è stato responsabile del contagio di 16 persone, di età compresa tra 5 e 86 anni. Tre di loro sono decedute. Il contagio avvenuto dentro le mura domestiche e al di fuori, nella comunità, attraverso funerali, compleanni e congregazioni di fedeli, ha contribuito in misura preponderante alla diffusione del Covid-19 a Chicago . È indispensabile a questo punto fare una pausa di riflessione.

Caratteristiche dei focolai

La descrizione di questi casi distinti ci consente di raggruppare le caratteristiche salienti dei focolai di Covid-19. Tutti i contagi sono avvenuti al chiuso, tra persone a stretto contatto fisico, mentre parlavano, cantavano o gridavano. Luoghi privilegiati del contagio sono casa, posto di lavoro, trasporto pubblico, assembramenti sociali e ristoranti: qui avviene il 90 percento delle trasmissioni virali. In contrasto, nei negozi la diffusione del virus resta assai contenuta e rappresenta una piccola percentuale dei contagi finora tracciati . Nei paesi più scrupolosi nel depistare la pandemia, un solo contagio è stato segnalato in un luogo all’aperto (meno dello 0,3 percento di tutti i casi).

Per tornare all’argomento in questione

I luoghi chiusi, con scarso ricambio d’aria, o con aria riciclata, e densamente affollati sono i più rischiosi dal punto di vista del contagio. Sappiamo che 60 persone in una palestra di pallavolo (il coro) garantiscono una diffusione massiccia. Stessa cosa per il ristorante e il call center. Le misure di distanziamento sociale non vengono rispettate al chiuso, nei locali dove si trascorre molto tempo, e di conseguenza persino le persone dall’altro lato della stanza possono essere contagiate.
Il principio del contagio si basa sull’esposizione al virus per un lungo arco temporale. In tutti questi casi, le persone sono rimaste esposte al virus presente nell’aria per un periodo prolungato di tempo (diverse ore). Anche se si fossero trovate a 20 metri di distanza l’una dall’altra (coro e call center), è bastato il virus presente nell’aria per parecchio tempo, anche se con carica virale bassa, a infettarle e a provocarne la morte in alcuni casi. Le norme di distanziamento sociale sono state introdotte per proteggerci dalle brevi esposizioni al virus, o dalle esposizioni all’aperto. In queste situazioni, non c’è abbastanza tempo per raggiungere la carica virale contagiosa, quando si mantiene una distanza di due metri gli uni dagli altri o dove il vento e gli elementi esterni assicurano la diluizione del virus, riducendone la carica virale. La luce solare, il calore e l’umidità concorrono a ridurre la sopravvivenza del virus e minimizzano il rischio di ammalarsi all’aperto.

Il volume di aria

Quando si calcola il rischio di infezione (tramite la respirazione) in un supermercato o in un centro commerciale, occorre valutare il volume dell’aria circostante (molto elevato), il numero di persone (limitato) e quanto tempo si trascorre in luoghi simili (i lavoratori, tutto il giorno; i clienti, al massimo un’ora). Per una persona che va a fare acquisti: la bassa densità di presenze, l’elevato volume d’aria nel negozio, e il tempo limitato che si trascorre in questo luogo significano che la probabilità di inalare una dose infettiva di virus è molto ridotta. Ma per il dipendente, il tempo prolungato trascorso nel negozio fa aumentare le occasioni di assorbire una dose di virus pericolosa, e pertanto il suo lavoro è più rischioso.

Che cosa controllare

Con la riapertura delle attività economiche, e con le occasioni di uscire, riprendendo in molti casi anche il lavoro d’ufficio, occorre studiare bene il proprio ambiente e adottare le dovute cautele. Verificate quante sono le persone che vi lavorano, se esiste una buona circolazione d’aria, e quanto tempo passerete in quel luogo. Se siete in un ufficio open space, fate molta attenzione nel valutare i rischi (volumi, persone e flusso d’aria). Stessa cosa se il vostro lavoro vi obbliga a parlare con gli altri faccia a faccia, o peggio ancora, a gridare per farvi sentire. Se siete seduti in un luogo ben ventilato, con poche persone, il rischio è basso. Se siete all’aperto, e passate accanto a qualcuno, tenete a mente i due principali fattori del contagio, «carica virale» e «tempo». Dovreste restare nel flusso d’aria di quella persona per oltre 5 minuti per contagiarvi. Anche se i podisti emettono più virus a causa della respirazione sotto sforzo, ricordate che il tempo di esposizione è più breve, grazie alla velocità della corsa. Vi raccomando di mantenere comunque le distanze di sicurezza, ma il rischio di infezione in questi casi è basso. Su Vox troverete uno studio eccellente che esamina, in dettaglio, l’entità del rischio per podisti e ciclisti.

In questo articolo ho evidenziato soprattutto il rischio di esposizione respiratoria, ma non bisogna sottovalutare le superfici contaminate. Quelle goccioline infette si posano sempre da qualche parte. Lavatevi spesso le mani ed evitate di toccarvi la faccia!

Adesso che ricominceremo a uscire e a muoverci liberamente nelle nostre comunità, entrando in contatto con più persone in più luoghi, il rischio di contagio per noi e i nostri familiari resta elevato. Se l’idea di tornare al lavoro e di riprendere la vostra attività economica vi entusiasma, non dimenticate tuttavia di fare sempre la vostra parte e indossate la mascherina per abbattere l’eventuale carica virale che potreste diffondere nell’ambiente. Sarà utile a tutti, inclusa la vostra attività.

* Erin S. Bromage, Ph. D., è professore associato di Biologia presso l’Università del Massachusetts a Dartmouth. Questo articolo è già apparso su erinbromage.com.

(traduzione di Rita Baldassarre)

Sorgente: Coronavirus, dove ci si ammala di più?

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2 commenti su “Coronavirus, dove ci si ammala di più?

  1. Grande pezzo Luna Rossa. Lucido.ampio.grazoe
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  2. Ripeto. Luna Rossa un pezzo utilissimo.chiaro.lucido. di questo c è tanto bisogno…grazie