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Telefono amico. «Più ambizione». Sui 500 miliardi dell’accordo franco-tedesco anche la Commissione Ue rilancia

Andrea Colombo

Conte chiama Macron e Merkel e tutti e tre concordano: il negoziato sul Recovery Fund deve andare «in direzione di un risultato davvero ambizioso». Vuol dire che i 500 mld dell’ipotesi franco-tedesca non bastano ma sia il presidente francese che il premier italiano già sanno che quella cifra lieviterà nella vera e propria proposta, quella che verrà presentata dalla Commissione il 27 maggio.

Lo stanziamento previsto dal presidente e dalla cancelliera, del resto, è bollato come «insufficiente» anche dal Parlamento di Strasburgo. Poco dopo la telefonata, infatti, il vicepresidente della Commissione Dombrovskis, al termine della riunione Ecofin, ufficializza: «Lo strumento che metteremo in campo non sarà di centinaia ma di oltre mille miliardi. Sarà un mix di sovvenzioni e prestiti».

Quanto ai tempi, nodo centrale, il grosso arriverà nel 2021 ma qualcosa, anticipa il lettone, potrebbe essere anticipato già quest’anno. In serata il commissario Gentiloni conferma: «Alla fine non saremo lontani dalla cifra di cui si è parlato in queste settimane, intorno ai mille mld».

LA CHIAVE DEL RADDOPPIO del fondo sta nella formula adoperata da Dombrovskis. I 500 mld concordati da Merkel e Macron sono le «sovvenzioni», in realtà da restituirsi parzialmente con l’aumento del contributo annuale al bilancio europeo. Vanno oltre quanto previsto nella bozza sulla quale stava lavorando la Commissione, che a quella voce aveva scritto 320 mln.

I prestiti dovrebbero fare il resto. Si tratterebbe però di un peso molto notevole per un Paese il cui debito pubblico marcia spedito verso il 160% del Pil. Le condizioni sarebbero certamente lievi, sia in termini di tasso che di scadenza per la restituzione. Il debito però scricchiolerebbe ulteriormente.

L’obiettivo è dunque un cocktail con ulteriori elementi: sovvenzioni, prestito a lunga scadenza, crediti agevolati (ai quali ha alluso esplicitamente Gentiloni), investimenti.

LA ROSA COMUNQUE AVRÀ le sue spine. Non solo per quanto riguarda l’inevitabile ulteriore impennata del debito pubblico ma anche per le condizioni. Le parole di Dombroskis non lasciano spazio a troppi equivoci: «Non si tratta solo di investimenti in più ma anche di riforme per far sì che le risorse siano utilizzate nel modo più efficace». Ci sarà quindi «un legame con il monitoraggio delle riforme».

Poco prima la stessa presidente von der Leyen, di fronte al Parlamento europeo, era stata altrettanto chiara: il Recovery dovrà finanziare «investimenti e riforme chiave, che devono essere allineati con le nostre politiche».

I VERTICI DELLA COMMISSIONE intendono certamente le politiche Green e la digitalizzazione. Sono quelli gli indirizzi europei ai quali i Paesi che riceveranno i fondi dovranno uniformarsi nei loro interventi. Ma, soprattutto per un Paese da sempre considerato una sorta di «sorvegliato speciale» come l’Italia, il richiamo alle riforme strutturali potrebbe andare ben oltre.

E’ un fronte particolarmente nevralgico nella maggioranza italiana, dove anche la proposta franco-tedesca è stata presa dal M5S con prudenza per non dire con aperta sospettosità. Il reggente Crimi era stato tra i primi a segnalare che il Recovery in versione franco-tedesca «è un primo passo però 500 mld sono pochini per quel che serve realmente al Paese». Di Maio rincarava a breve, ben più minaccioso: «L’Europa non può fare a meno dell’Italia e l’Italia si farà rispettare». Le paure del Movimento hanno il solito nome: Mes.

I pentastellati temono che se il Recovery Fund non basterà a coprire per intero le esigenze italiane, o se arriverà in ritardo, il governo dovrà attivare la linea del credito del Fondo Salvastati, ipotesi che moltissimi tra i 5S, incluso lo stesso Crimi, considerano ancora come off-limits. Gli umori del truppone pentastellato, sempre più gelido con un premier considerato ormai molto più vicino al Pd che al Movimento, sono bellicosi: «Ha detto no al Mes. Vedremo se sarà di parola». Ma anche: «Il Mes è il banco di prova del premier».

PER TIRARSI FUORI DAL VICOLO cieco Conte dovrà usare tutte le sue capacità diplomatiche. Se nessun altro Paese chiederà il prestito non potrà resistere al veto pentastellato, e dovrà arrivare ai ferri corti con Pd e Iv. Se l’Italia non sarà il solo Stato ad accedere alla linea di credito dovrà fare i conti con i duri del M5S.

La quadratura del cerchio potrebbe essere convincere qualche altro Paese a chiedere prestiti limitati, lontani dal tetto di 36 mld, per interventi specifici e fare poi la stessa cosa. Dire di no sarebbe difficile.

Sorgente: Conte chiama Macron e Merkel: il fund va bene ma non basta | il manifesto

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