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Su Medical Facts, Roberto Burioni spiega che il rimedio elaborato da alcuni scienziati cinesi, testato sui macachi, risulterebbe in grado di stimolare la produzione di una grande quantità di anticorpi, determinando la guarigione

di Roberto Burioni

Questa è davvero una bella notizia. Ma proprio bella. La migliore che potevamo ricevere. Però partiamo dall’inizio.

Una delle esperienze più comuni della vita è che anche cose brutte hanno qualcosa di bello (e viceversa). Nel caso di molte malattie infettive, come per esempio il morbillo, al brutto della febbre, il mal di testa, la tosse e via dicendo segue un risultato molto positivo: la protezione dalla malattia vita per tutta la vita. Infatti di morbillo ci si ammala una volta sola, e poi si è immuni per sempre.

Vaccinare, dunque, significa in un certo senso mettere un paziente nelle condizioni di chi si è ammalato ed è guarito senza fargli correre i rischi e i disagi causati dalla malattia. Ma come fare?

L’inattivazione

Una delle possibilità è quella di prendere il virus, farlo crescere in laboratorio, purificarlo e poi – utilizzando delle sostanze chimiche o dei procedimenti fisici basati sul calore – inattivarlo in modo che non sia più in grado di replicarsi (quindi del tutto innocuo) ma ancora capace di stimolare correttamente il sistema immunitario.

In questo caso, sostanzialmente, non si inietta più nel paziente un virus, ma delle proteine inerti che stimolano una risposta contro il virus dal quale provengono.

La questione non è banale: se il virus viene danneggiato troppo, non è più in grado di stimolare una risposta immune; ma se lo danneggiamo troppo poco è ancora vivo e – non essendo attenuato – può ovviamente causare la malattia.

Se però si trova la giusta misura, il vaccino può essere preparato. Proprio da una procedura di questo tipo è arrivato il vaccino contro la poliomielite messo a punto da Jonas Salk che, dall’aprile 1955 in poi fece crollare i casi di polio dai 58mila del 1952 ai 2.500 del 1957 e ai 61 del 1965. Capite bene, un trionfo.

Ebbene, proprio pochi minuti fa è stato pubblicato in una delle più serie riviste del mondo (Science, che mantiene il suo prestigio pur avendo dedicato un articolo anche allo scrivente nel gennaio scorso) il risultato del lavoro di alcuni scienziati cinesi.

Sono andati poco per il sottile: hanno fatto crescere il coronavirus in laboratorio, l’hanno purificato e l’hanno inattivato con una delle metodiche tradizionali già utilizzate in passato.

Poi l’hanno messo alla prova prima in topi e ratti e infine in dei macachi, animali che, come è facile comprendere leggendo i social media in questi giorni, sono vicini all’uomo.

Anticorpi neutralizzanti e protezione in modelli animali

Ebbene i risultati sono stati ottimi: non solo i vaccini non hanno dimostrato alcuna tossicità, ma hanno fatto produrre ai macachi una quantità molto alta di anticorpi neutralizzanti (quelli che – contenuti nel plasma dei guariti – potrebbero essere utili per la guarigione).

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Sorgente: Buone notizie, il vaccino funziona sulle scimmie – Linkiesta.it

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