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Dopo Luiz Henrique Mandetta, anche Nelson Teich ha rinunciato all’incarico ministeriale a causa della scellerata gestione dell’epidemia da parte di Jair Bolsonaro, mentre nel Paese la situazione diventa sempre più drammatica. Il presidente brasiliano ora rischia l’impeachment.

Dopo Luiz Henrique Mandetta, anche Nelson Teich ha rinunciato all’incarico ministeriale a causa della scellerata gestione dell’epidemia da parte di Jair Bolsonaro, mentre nel Paese la situazione diventa sempre più drammatica. Il presidente brasiliano ora rischia l’impeachment.

In principio fu Luiz Henrique Mandetta ad esprimere il suo dissenso nei confronti delle politiche proposte dal presidente Jair Bolsonaro per affrontare l’epidemia da nuovo coronavirus in Brasile. Esponente di un partito della destra moderata, i Democratas, il medico cinquantacinquenne aveva resistito a lungo al presidente, tentando in tutti i modi di far passare la linea del confinamento. Bolsonaro, dal canto suo, aveva invece continuato a minimizzare la situazione, minacciando il suo ministro di cacciarlo dal governo. Alla fine, è stato lo stesso Mandetta a vedersi costretto a dare le dimissioni, consapevole del fatto che il presidente non avrebbe cambiato idea sul da farsi.

Il 17 aprile, Bolsonaro ha nominato Nelson Teich (in foto), anche lui medico di professione e non affiliato a nessun partito politico, per occupare la posizione che fu di Mandetta. L’oncologo, tuttavia, ha resisto meno di un mese alle follie del suo presidente, rassegnando le dimissioni il 15 maggio, dopo aver pubblicamente espresso il suo dissenso nei confronti delle politiche presidenziali. Nel giro di poco tempo, le politiche e le dichiarazioni antiscientifiche di Bolsonaro sul coronavirus hanno causato una fuga dal Ministero della Sanità, senza dimenticare le dimissioni del ministro della giustizia Sérgio Moro, anche lui in rotta con il capo di stato.

Molte altre figure politiche hanno espresso il proprio dissenso nei confronti di Bolsonaro, indipendentemente dalla propria appartenenza partitica. Esponenti di tutto lo spettro politico, infatti, sono concordi nel condannare l’atteggiamento del presidente federale. Ad esempio, Wilson Witzel, governatore dello stato di Rio de Janeiro ed esponente di un partito conservatore, il Partido Social Cristão (PSC), ha dichiarato che, con i suoi interventi arbitrari, Bolsonaro rende impossibile lo svolgimento del proprio lavoro per il ministro della sanità; Witzel ha aggiunto che la crisi dovrebbe essere gestita dal ministro della sanità in collaborazione con i governatori degli stati federali e con i sindaci, non dal presidente. Concorde anche il centrista João Doria, governatore di San Paolo per il Partido da Social Democracia Brasileira (PSDB), che ha accusato Bolsonaro di essere una minaccia per la democrazia.

Molto più a sinistra si posiziona sicuramente Flávio Dino, governatore dello stato di Maranhão ed importante esponente del Partido Comunista do Brasil (PcdoB), che ha affermato che il Brasile è il Paese del mondo che sta affrontando la pandemia nel modo peggiore, chiedendo che le istituzioni giudiziarie intervengano nei confronti di Bolsonaro. Concordi nella condanna delle politiche presidenziali anche Camilo Santana, governatore, in quota al Partido dos Trabalhadores (PT) del Ceará, una delle aree più colpite dalla pandemia, e Paulo Hartung (PSDB), dello stato di Espírito Santo.

Proprio il PT, il partito degli ex presidenti Luiz Inácio Lula da Silva e Dilma Rousseff, ha raccolto la proposta del governatore comunista Flávio Dino, annunciando la volontà di presentare in parlamento una procedura di impeachment nei confronti di Jair Bolsonaro, con l’appoggio di movimenti sociali, associazioni ed organizzazioni della società civile ed entità giuridiche. Gleisi Hoffmann, presidente del PT, ha affermato che Bolsonaro “non è in grado di rispondere alla crisi che stiamo vivendo e non ha né le condizioni né la capacità amministrative ed umane per guidare il Paese“.

Attualmente, il Brasile conta ufficialmente oltre 233.000 casi positivi al nuovo coronavirus con oltre 15.600 morti, più di tutti gli altri Paesi dell’America del Sud messi insieme, nonostante i test effettuati siano stati solamente 735.000. In pratica, circa un test su tre è risultato positivo. Il Perù, che è il secondo Paese più colpito del continente, ha registrato 88.000 casi positivi, seguito dai 41.000 del Cile. Per numero di decessi, invece, sia il Perù che l’Ecuador hanno superato quota 2.500. In realtà, i numeri del Brasile potrebbero essere ancora peggiori, come denunciato dal PT, e solamente il numero basso di test effettuati starebbe oscurando la drammaticità del fenomeno nel Paese. L’ormai ex ministro della sanità Nelson Teich, del resto, aveva proposto di effettuare test a tappeto su tutta popolazione, ma il rifiuto di Bolsonaro è stato uno dei motivi che lo hanno portato alle dimissioni.

Secondo il PT, mentre inizialmente la pandemia ha colpito le città principali, come Rio de Janeiro e San Paolo, ora questa si starebbe spostando nelle aree rurali, dove non vengono effettuati test e dove mancano le strutture sanitarie per far fronte all’emergenza. Al momento, il 51.4% dei comuni brasiliani ha registrato almeno un caso, ma questa cifra potrebbe in realtà essere molto maggiore. Gli stati rurali di Minas Gerais, Mato Grosso do Sul e Rio Grande do Sul stanno registrando un aumento esponenziale dei casi negli ultimi giorni. Molti esperti hanno indicato nel confinamento e nell’interruzione degli spostamenti tra stati la soluzione per fermare l’epidemia, ma Bolsonaro ha deciso di ignorarli. Teich, nella sua breve permanenza del governo, ha tentato invano di dare il buon esempio, presentandosi in conferenza stampa con la mascherina, mentre Bolsonaro continua a passeggiare tranquillamente per le strade di Brasilia tra la folla. Si calcola che al momento almeno l’88% della popolazione brasiliana sia esposta ad un rischio serio di contagio, un numero enorme se si calcola che il Paese conta oltre 212 milioni di abitanti.

La situazione peggiore è quella delle comunità indigene dell’Amazzonia, che vivono in aree isolate e molto distanti dalle strutture mediche. In media, le comunità indigene vivono a 200 km di distanza dal reparto di terapia intensiva più vicino, ma per alcune questa distanza supera addirittura i 1.000 km. Considerando anche l’assenza di trasporti adeguati, un eventuale malato impiegherebbe tra gli otto ed i dieci giorni per recarsi in una struttura medica adeguata. Per molte di queste popolazioni, l’assistenza medica è stata a lungo garantita dai medici cubani presenti in Brasile, che Bolsonaro ha deciso di espellere dal Paese alla fine del 2018. Fino al allora, il 90% delle popolazioni indigene dell’Amazzonia era assistito unicamente dai medici cubani.

A causa delle politiche scellerate di Bolsonaro, la situazione brasiliana potrebbe tramutarsi rapidamente in una crisi umanitaria. La procedura di impeachmente contro il presidente potrà avere successo solamente se un numero sufficiente di suoi sostenitori capirà la gravità della situazione e deciderà di agire di conseguenza, come hanno fatto i suoi ministri dimissionari. Nel frattempo, il presidente sarà impegnato nella difficile ricerca di un nuovo titolare della sanità, ruolo che oramai non vuole ricoprire più nessuno.

Sorgente: Brasile: nessuno vuole essere il ministro della sanità di Bolsonaro | AFV

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