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Damasco e il virus, numeri poco credibili. Al-Arabiya strumentale: «Soldati infettati da milizie iraniane». Al mercato nero raddoppia il prezzo della pagnotta. Operazione Colomba: nei campi in Libano violati tutti i diritti. E a Idlib non si fanno i tamponi

Siria dove al peggio sembra non vi sia mai fine

«Coprifuoco prorogato fino al 2 maggio, in Siria, per mantenere il distanziamento sociale mentre emergono forti dubbi sulla reale entità del contagio», scrive Luca Geronico su Avvenire.  «Intanto la lotta al coronavirus, a Damasco e in tutte le principali città, si sta trasformando in una tremenda ‘crisi del pane’». Solo 25 i contagiati e due vittime da Covid-19, secondo l’agenzia ufficiale “Sana”, in un Paese che dopo 9 anni di guerra civile ha più del 50% delle strutture sanitaria distrutte. «Una carenza non solo di cure, ma anche di possibilità diagnostica se, come denunciato da “al-Jazeera” nei distretti di Idlib e Aleppo, almeno nelle zone sotto il controllo turco, vi è una sola macchina per eseguire i test di laboratorio. E solo un centinaio gli accertamenti effettuati nella “provincia ribelle” nonostante l’Oms abbia inviato migliaia di tamponi». Quindi numeri di contagi denunciati ufficialmente  assolutamente non credibili.

Fonti mediche vicine al governo

Secondo l’Osservatorio siriano per i diritti umani, che cita fonti mediche vicine al governo, i casi accertatati di coronavirus sarebbero 26 a Latakia, 16 a Tartus, 30 ad Aleppo e Damasco mentre sono circa 500 persone messe in quarantena per poi dimetterne un centinaio perché risultate negative. «Un contagio che parrebbe ancora contenuto, ma con cifre più alte di quelle ufficiali e con il sospetto che l’epidemia sia in realtà già molto più grave». E qui il sospetto coinvolge la malizia politica interna al conflitto di fatto ancora un corso. «Il sito di “al-Arabiya” ‘(islam sunnita) riferisce di un «gran numero di forze del regime contagiate a causa del contatto con le forze iraniane (islam sciita)». Secondo l’Osservatorio siriano, la milizia Fatimiyoun e alcune milizie filo-iraniane di combattenti stranieri avrebbero molti ricoveri nell’ospedale di Boukamal.

Il virus contro gli alleati di Assad?

Un contagio, sostengono i media, che avrebbe raggiunto anche i soldati russi di stanza nella base di Tartus –rileva Luca Geronico-  mentre numerosi Hezbollah rientrati in Libano dalla Siria denunciavano chiari sintomi assimilabili a quelli del Covid. «In Libano, osserva Operazione Colomba – il corpo non violento di pace della Associazione Papa Giovanni XXIII – per chi vive nei campi profughi o in cantine o garage, l’auto-isolamento è particolarmente difficile, considerando l’accesso sempre più limitato al lavoro e alle organizzazioni di soccorso». Nella valle della Bekaa e nella zona di Tripoli, prosegue Operazione Colomba, «si moltiplicano le minacce di sfratto ai siriani che non possono più pagare l’affitto, mentre le violazioni dei diritti umani rendono insostenibile la situazione per questi profughi».

Altro epicentro del contagio, «Nel sobborgo di Sayyida Zeinab, tradizionale meta di pellegrinaggio degli sciiti al mausoleo della figlia di Ali, l’arrivo dei pellegrini da Iran, Iraq e Pakistan non si mai è interrotto nonostante le numerose proteste».

Il ‘pacchetto del pane’ tra i più disperati

Da quando un mese fa in Siria è stato imposto il coprifuoco, per gran parte della popolazione è saltato anche il “pacchetto di pane”. Un aiuto di pura sussistenza rispetto alla fame che ormai colpisce una parte sempre più larga di popolazione siriana. Poco pane nell’ex granaio mediorientale. Nel 2011 la Siria produceva 4 milioni di tonnellate di grano, mentre l’anno scorso la produzione è scesa a 1,2 milioni. La battaglia nelle terre sotto il controllo del Daesh sino al 2017 ha rallentato o impedito la produzione, mentre molti agricoltori sono accusati da Damasco di vendere il raccolto alla Forze democratiche siriane che controllano il Rojava, il Kurdistan siriano. Ma il “pacchetto di pane” spesso non arriva mentre al mercato nero, in un mese, il prezzo è aumentato in un mese da 500 a 1.000 lire siriane, circa un dollaro, quando uno stipendio medio è di circa 40 dollari.

 «Quello che si teme è un uso strumentale della crisi del pane e del coronavirus da parte del regime per promuovere una campagna per la rimozione dell’embargo», denuncia Avvenire. Un pane amaro e nero in Siria, nell’era del coronavirus.

 

Sorgente: Guerra+virus=sterminio. In Siria il virus ‘contagia’ anche il pane –

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