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Coronavirus, quanto resta nell'aria? È possibile il contagio? Il dibattito tra gli scienziati

Non ci sono prove rilevanti che Covid-19 si possa contrarre da aria «contaminata» . Gli esperti italiani: «Niente allarmismi, il virus difficilmente può avere una carica infettante tale da poter essere trasmesso da micro particelle aeree»

di Cristina Marrone

Da quando il coronavirus ha cominciato a circolare, gli scienziati di tutto il mondo stanno cercando di stabilire se Sars-CoV-2 può viaggiare nell’aria. La domanda che si stanno ponendo in molti è: il virus può sopravvivere nell’ambiente e soprattutto si rischia il contagio se quell’aria «contaminata» noi la respiriamo? L’Organizzazione Mondiale della Sanità sul punto è chiara e ha spiegato che non ci sono prove rilevanti che il nuovo coronavirus sia capace di trasmettersi attraverso l’aria. E anche il nostro Istituto Superiore di Sanità è sulla stessa linea. L’eccezione — e su questo tutti sono d’accordo — avviene in ambiente ospedaliero, quando vengono eseguite determinate procedure mediche come la broncoaspirazione o l’intubazione di un paziente.

Il dibattito

Ad alimentare il già acceso dibattito degli scienziati è stata una lettera scritta dall’Accademia Nazionale delle Scienze degli Stati Uniti e inviata al capo delle politiche scientifiche della Casa Bianca in cui viene riferito che il virus Sars-Cov-2 è stato trovato in campioni d’aria raccolti a oltre 1,8 metri di distanza dai pazienti. Harvey Fineberg, presidente di un comitato composto con la National Academy of Science scrive che «la ricerca dimostra che anche le gocce aerosolizzate prodotte parlando o forse anche solo respirando possono diffondere il virus», facendo riferimento a una ricerca in un ospedale della Cina in cui si è visto che il virus può essere sospeso nell’aria quando i medici rimuovono gli equipaggiamenti protettivi. Nello scritto cita anche uno studio dell’Università del Nebraska che ha analizzato 11 stanze con pazienti Covid-19, in alcune delle quali sono stati trovati campioni di Rna del virus nell’aria a quasi due metri di distanza. Anche l’immunologo della Casa Bianca Anthony Fauci ha parlato dei dati che vanno in questa direzione.

La trasmissione

È bene chiarire che la prima fonte di contagio del nuovo coronavirus è il contatto diretto e prolungato con una persona che emette goccioline (i cosiddetti droplets, superiori al millimetro) con tosse e starnuti. Se però il virus dovesse rimanere sospeso nelle particelle ultrafini prodotte con il respiro, la protezione diventerebbe più difficile. La virologa Ilaria Capua, dell’Università della Florida, ha aggiunto tra l’altro che «non possiamo escludere il propagarsi del coronavirus dai condizionatori».

La nuvola di goccioline

A dare il là al dibattito è stato un primo studio pubblicato a inizio marzo sul New England Journal of Medicine in cui si sosteneva che il virus potesse sopravvivere fino a tre ore in ambiante chiuso (con carica virale dimezzata un’ora dopo). Una condizione questa che però era stata ottenuta in ambiente controllato di laboratorio, nebulizzando il virus. Altre ricerche sono seguite. In particolare uno studio del Mit (Massachusetss Institute of Tecnology) da poco pubblicato su Jama ha concluso che uno starnuto crea una nuvola di goccioline, grandi e piccole, che può arrivare fino a 6-8 metri di distanza. I droplets grandi si depositano più velocemente di quanto evaporino, contaminando le immediate vicinanze dell’individuo infetto. Al contrario, le goccioline piccole emesse mentre si parla o si respira evaporano (piuttosto che depositarsi) nella forma di particelle chiamate «aerosol». Altri studi hanno cercato tracce del virus nell’aria nelle stanze dei pazienti senza trovarle. Un altro lavoro ha rilevato la presenza del virus anche in campioni di aria davanti a un supermercato, senza riuscire a chiarire se il patogeno fosse ancora attivo e in grado di contagiare.

Gli esperti: niente allarmismi

«Che in condizioni particolari e spesso sperimentali e di laboratorio, come alcuni lavori riportano, il virus possa essere presente al di fuori del droplets classico ma anche nell’aerosol è documentato e dimostrato — precisa Massimo Andreoni, direttore scientifico della società italiana di malattie infettive e tropicali Simit e professore all’università di Tor Vergata —. Ma sono condizioni estreme nelle quali il virus difficilmente può avere una carica infettante tale da poter essere trasmesso per via aerea».«Non creiamo troppo allarmismo — avverte il virologo Fabrizio Pregliasco — perché è vero che gli studi indicano una potenzialità di dispersione ambientale maggiore ma parliamo sempre di ambienti chiusi e contesti ospedalieri. All’aperto non ci sono pericoli». E in ascensore? «Non ritengo possibile il contagio da micro goccioline emesse da qualcuno infetto che è salito prima di noi. Anche negli ambienti chiusi, se vengono mantenute le distanze e la stanza è arieggiata frequentemente e disinfettata, non ci sono particolari rischi di contagio» conclude Andreoni.

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