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Coronavirus Milano, la 41enne con la febbre il 22 dicembre: «Ora hanno trovato gli anticorpi al Covid»

Forse la donna ha contratto il virus quando l’epidemia era «sommersa», si credeva lontana dall’Italia. «Mi hanno curato con gli antibiotici. Soltanto uno pneumologo mi ha chiesto se ero stata in Cina»

di Gianni Santucci

«È iniziata con una febbre poco sopra il 37. Era il 22 dicembre. Poi la febbre è salita. La sera del 26 ha sballato i 39. Ho chiamato la guardia medica. Il giorno dopo, prescritto dal sostituto del medico di base, ho iniziato il primo antibiotico». Professionista milanese, 41 anni: di antibiotici ne prenderà tre diversi, nel tentativo di contrastare una malattia che all’inizio sembrava un’influenza e che invece ha avuto una pesante deriva. La sequenza è stata questa. La febbre continua altalenante e poi scende. Il primo gennaio però iniziano delle fitte violentissime tra le costole, alla schiena. Altra chiamata alla guardia medica. Altra visita in ambulatorio. Secondo antibiotico. Primo sospetto di polmonite. E una tosse talmente pesante che quel giorno il medico fa anche un’altra ipotesi: «Tossendo in modo così forte, potrebbe essersi incrinata una costola».

Il 6 gennaio, in pronto soccorso, «ancora piegata da quel dolore tra le costole», alla donna fanno la prima lastra. Esito: «Probabile polmonite». Solo che il versamento è talmente ampio che non si può fare in quel momento la diagnosi con certezza. La (terza) lastra che certifica la guarigione arriverà dopo quasi un mese: il 5 febbraio (in tutto questo percorso, gli ospedali e i medici milanesi non avevano ancora sospetti sulla presenza del coronavirus in città e si facevano pochi tamponi). La donna guarisce. E ha già ricominciato a lavorare quando esplode l’epidemia di Covid-19, col paziente ricoverato a Codogno (21 febbraio). Quella della professionista milanese resterebbe una delle tante «polmoniti anomale» curate dai medici tra fine dicembre e inizio febbraio. Alla fine di questa storia però c’è un aspetto decisivo, che cambia la prospettiva.

Qualche giorno fa la donna fa il test sierologico (quello che cerca gli anticorpi prodotti dal sistema immunitario in risposta al virus). Risultato: immunoglobuline IgM (quelle prodotte per prime in caso di infezione) «negative». Significa che la donna a fine aprile non è infetta. Le IgG, invece, sono «positive», segno che la professionista ha avuto l’infezione qualche tempo prima. Domanda: lei, dopo quella polmonite di inizio gennaio, è più stata male? «No».

Esiste dunque un’alta probabilità che la donna si sia ammalata di coronavirus, a Milano, a fine dicembre. Sarebbe dunque una di quelle persone che ha contratto il virus quando l’epidemia era «sommersa», si credeva lontana e confinata in Cina (le informazioni sul nuovo ceppo di coronavirus scoperto a Wuhan sono state diffuse al mondo tra 31 dicembre e 10-15 gennaio). Secondo la più recente analisi della Regione su quando sono iniziati i sintomi dei «positivi» certificati con tampone, almeno 1.200 lombardi potrebbero aver avuto il Covid-19 tra fine gennaio e 20 febbraio (prima che l’epidemia venisse intercettata in Italia). Potrebbero essere molti di più. E potrebbero essersi ammalati ancor prima. Come la professionista che racconta al Corriere: «Sono guarita e ho ripreso la mia vita di sempre. Ma credo che sia importante raccontare quel che mi è accaduto anche per dare un contributo alla conoscenza del virus».

In questo percorso clinico c’è stato solo un momento di sospetto, quando la professionista si è fatta visitare, intorno a metà gennaio, da uno pneumologo. È stato l’unico a chiederle se fosse stata in Cina, cosa che non era avvenuta. In quel momento, per le direttive di politica sanitaria, era quello l’unico alert che veniva valutato per pensare a un contagio da coronavirus (non la presenza di sintomi compatibili, come è stato dopo).

Resta da chiarire che in questa storia esiste un margine di incertezza, e che dunque (pur in un quadro di compatibilità come riferito da più esperti consultati dal Corriere) non si può definitivamente affermare che la donna sia stata malata di coronavirus. Sia perché i versamenti hanno sempre «coperto» il focolaio di polmonite, sia perché le è stata diagnosticata anche una pleurite (piuttosto rara nel Covid), sia perché potrebbe essersi infettata (rimanendo asintomatica) dopo la sua malattia di dicembre/gennaio.

Sorgente: corriere.it

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