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Proteste tra gli oltre settemila italiani bloccati dal lockdown dal sudamerica all’Australia e che si ritrovano a pagare biglietti dal prezzo triplicato. Bruxelles: “Roma ha chiesto aiuto una sola volta”. I finanziamenti pagano il 75% del costo di rientro. Dal ministero degli Esteri riportati a casa in 70 mila

Caterina Pasolini

ROMA. Scrivono dal Sudamerica, chiedono aiuto via Facebook dall’Australia, organizzano chat sui social, gruppi divisi per nazioni in cerca del volo perduto. Sono almeno settemila gli italiani bloccati dalla pandemia in giro per il mondo, in viaggio di lavoro o di piacere, dall’Australia all’India, dall’Argentina al Marocco. I loro voli acquistati da varie compagnie sono stati cancellati, riprogrammati, cancellati a ripetizione.

Il ritorno sembra sempre più una miraggio mentre i prezzi salgono. E dai quattro angoli del globo raccontano di voli organizzati grazie al ministero italiano ma con tariffe  doppie, quadruple rispetto al solito, più di duemila euro dall’Argentina, 500 dal Marocco. E puntano il dito. “Noi siamo cittadini di serie B? Perché altri paesi fanno tornare gratis i loro concittadini approfittando dei fondi per i rimpatri europei che pagano il 75 per cento dei viaggi?”. In effetti con questo sistema sono tornati a casa gratis oltre trentamila tedeschi, 3400 spagnoli, 2257 austriaci, 2470 belgi. Quasi duemila cechi, ottocento olandesi. E solo mille italiani. Perche?

Il ministero guidato da Di Maio, che con 500 diverse operazioni ha riportato in Italia dopo il lockdown ben 70 mila persone, dice di aver valutato l’opzione ma che doveva essere riservata a Paesi in cui non esiste opzione commerciale di rientro e che ci dovevano essere circa la metà di cittadini stranieri sul volo. La risposta che arriva da Bruxelles, che  ha riportato a casa 500 mila persone, suona diversa. Non c’è alcun limite numerico, basta che i voli portino a bordo alcuni cittadini anche di altri partner Ue e soprattutto, spiega un portavoce dell’esecutivo comunitario: “Noi accettiamo tutte richieste da tutti i paesi, ma il meccanismo di protezione civile delle essere attivato dalle autorità nazionali”. E l’Italia lo ha chiesto una unica volta, solo a febbraio per un operazione dal Giappone.


Funziona cosi. In pratica è il Paese che organizza il volo e decide che se sia militare, commerciale di linea, per l’Europa è indifferente basta che ospiti nel tragitto  anche viaggiatori di altri paesi della Comunità. La maggior parte dei cittadini non paga. Se c’è un volo che organizzato costa ad esempio 200 mila euro, l’Europa paga il 75% quindi il Paese organizzatore potrebbe al massimo chiedere il 25% ai passeggeri, ma raramente accade.

“Invece sui voli organizzati dall’Italia noi ci siamo ritrovati con richieste da mille, duemila euro, dopo settimane che siamo in paesi stranieri e dopo che abbiamo gia pagato biglietti che chissà quando mai ci rimborseranno” protestano oltre confine. Chiedendo che il ministero degli Esteri intervenga. E faccia richiesta per usare quei fondi.

Sorgente: Coronavirus, l’Unione europea: finanziamo i voli di rimpatrio, ma l’Italia non usa i fondi per i suoi cittadini – la Repubblica

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