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Coronabond, il no tedesco «è gretto e vigliacco»: l'editoriale dello Spiegel scuote la Germania

L’Europa s’è desta. E questo vale qualunque cosa decidano di fare i suoi ministri economici — impegnati in queste ore in accese riunioni a distanza — e soprattutto i suoi leader. S’è desta perché il virus, molto più della crisi economica degli anni scorsi, con il suo carico di lutti e sofferenze la costringe — ci costringe tutti — a interrogarsi davvero sulla sua anima e i suoi scopi. E a costo di essere troppo ottimisti, la sensazione è che dopo il muro contro muro iniziale si possa cominciare a considerare meglio le ragioni degli altri: ieri ci abbiamo provato da qui, con un pezzo che spiegava da dove derivi la posizione dei Paesi del Nord, storicamente contraria a ogni forma di condivisione del debito. Ma oggi la sorpresa è di segno opposto.

Arriva da Amburgo, sede dello Spiegel, un giornale letto e rispettato in tutto il mondo. La sua posizione lascia senza fiato fin dal titolo: «Il rifiuto tedesco degli eurobond è non solidale, gretto e vigliacco». È Steffen Klusmann, il direttore, a firmare un editoriale che passerà alla storia, pubblicato sul sito in tutte le principali lingue europee, italiano compreso. La sua durezza nei confronti del suo Paese, e della grande cancelliera che lo guida, è inaudita:

«Invece di dire onestamente ai tedeschi che non esistono alternative agli Eurobond in una crisi come questa, il governo Merkel insinua che ci sia qualcosa di marcio in questi bond. Ovvero, che in fin dei conti sarebbero i laboriosi contribuenti tedeschi a dover pagare, in quanto gli italiani non sarebbero mai stati capaci di gestire il denaro. Questa narrazione è stata usata talmente spesso dalla cancelliera, che adesso ogni concessione a spagnoli e italiani potrebbe soltanto sembrare una sconfitta. Non avrebbe mai dovuto permettere che si arrivasse a questo, non fosse che per un sentimento di vicinanza e solidarietà. L’enorme violenza della pandemia ha comportato una vera e propria tragedia umana e medica in Italia e in Spagna — anche perché ultimamente ambedue gli Stati avevano attuato una forte politica di austerity, come voluto da Bruxelles — e sicuramente non perché vivessero al di là delle loro possibilità».

Il seguito è altrettanto impressionante, per gli aggettivi e anche per il richiamo al passato che è sempre disturbante per l’opinione pubblica tedesca: «L’Europa sta affrontando una crisi esistenziale. Apparire come il guardiano della virtù finanziaria in una situazione del genere è gretto e meschino. Forse conviene ricordare per un momento chi è stato a cofinanziare la ricostruzione della Germania nel Dopoguerra».

Ma l’articolo spiega anche, in modo impeccabile, gli aspetti tecnici di un «debito comune» che non è elemosina:

«Gli eurobond sono obbligazioni comuni emesse da tutti i paesi dell’euro e non un’elargizione. Hanno il vantaggio di essere considerati un investimento sicuro, in quanto gli Stati con una buona reputazione come la Germania risultano responsabili anche per i debitori meno solidi, come l’Italia. Questo rende i prestiti un po’ più costosi per la Germania, ma notevolmente più economici per l’Italia. Berlino se lo può permettere, mentre Roma, se fosse lasciata sola, presto non sarebbe più in grado di prendere in prestito denaro sul mercato finanziario, dato che i tassi di interesse sarebbero troppo alti».

Klusmann lascia intravedere però un aspetto interessante: dietro lo scontro sulle tecnicalità dell’intervento europeo c’è il tentativo della Germania di fare un passo avanti che aiuti i Paesi del Sud Europa nella sostanza, ma non intimorisca i tedeschi nella forma, e dunque non si può chiamare eurobond. Tutti sanno che il ricorso al Mes (Meccanismo europeo di stabilità, il fondo salva Stati) sarebbe insufficiente, ma ammorbidire le condizioni per accedere ai suoi (insufficienti) fondi servirebbe a dare il via libera alla Banca centrale europea, «che potrebbe acquistare quello che nessun altro vuole. Già otto anni fa, la banca centrale era già stata usata dai politici come ultimo baluardo, perché i governi erano troppo vigliacchi per risolvere i problemi da soli. De facto però, tutte queste proposte avrebbero lo stesso effetto: una gigantesca collettivizzazione dei rischi — solo che non si chiamano eurobond».

Detto francamente, questa sarebbe comunque un’ottima soluzione, o perlomeno un buon punto di equilibrio, perché darebbe modo alla Bce di azionare l’arma atomica — le Outright Monetary Transactions di cui parlò Mario Draghi nel suo famoso discorso del 2012, senza poi dovervi fare mai ricorso — ma senza le condizioni capestro (riforme durissime) cui sono legate oggi.

Secondo Klusmann, invece, sarebbero meglio i «coronabond» proposti dai francesi, «titoli di Stato europei limitati nel tempo e legati a uno scopo ben preciso: far fronte alla pandemia. Darebbero un chiaro segnale ai mercati finanziari, ma anche ai cittadini europei. Sarebbe la prova che non ci abbandoniamo l’un l’altro in tempi di maggiore bisogno».

Non è la prima volta che dalla Germania si alzano voci autocritiche — l’ultima è quella dell’ex cancelliere Schroeder nell’intervista al Corriere — ma qui la sensazione è nuova e netta: mai le nostre ragioni erano state recepite in modo così profondo.

Su questo tema, leggete anche la proposta di Gentiloni e Breton e l’intervento di Mario Draghi; qui invece le ragioni dei Paesi del Nord, spiegate bene, e dall’inizio.

Questo articolo è stato pubblicato per la prima volta nella Rassegna stampa del Corriere della Sera, pubblicata ogni giorno sulla Digital edition e – in anteprima per gli abbonati – la sera, via newsletter. La trovate qui)

sorgente: corriere.it

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