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Il primo ministro britannico dopo 3 settimane torna in sella. Pressioni degli industriali per riaprire le attività

LONDRA. «È impaziente di ricominciare». Così fonti di governo descrivevano Boris Johnson alla vigilia del suo ritorno a Downing Street – dove il premier è arrivato ieri sera – e alla guida del governo. Le stesse parole usate dal ministro che ne ha fatto le veci, Dominic Raab. Ma non è un ritorno facile quello del primo ministro britannico guarito dal Covid-19: deve affrontare le critiche al governo per la gestione della crisi, più forti ora che il Paese ha passato la triste soglia dei ventimila morti; e deve sciogliere il dilemma sull’inizio della Fase 2, che qui chiamano «exit strategy» e che molti chiedono a gran voce, sia nel suo partito sia tra gli industriali che lo sostengono con donazioni generose.

Johnson, 55 anni e una fidanzata incinta, ha passato una settimana in ospedale, inclusi tre giorni in terapia intensiva, tenendo il Paese con il fiato sospeso. È uscito la domenica di Pasqua, e ha trascorso due settimane in convalescenza a Chequers, la residenza di campagna dei premier britannici. Nei giorni scorsi aveva gradualmente ripreso l’attività, parlando al telefono con la Regina e con Trump («È il Boris di sempre, grande energia, grande determinazione», aveva detto il presidente Usa). Ma non si vede in pubblico dal 12 aprile, quando aveva postato un video per ringraziare i medici che l’hanno assistito.

Il ritorno a Downing Street offre un elemento di certezza e ritrovata stabilità, ma anche di speranza, ad un Paese duramente colpito dal virus. Se l’ottimismo che è la sua cifra politica non l’hai aiutato nella fase iniziale della crisi, anzi, potrebbe ora aiutare a risollevare gli umori di cittadini provati da settimane di restrizioni alla loro libertà. Ad attenderlo ci sono però decisioni difficili. E una lettera del leader laburista Keir Starmer che chiede una discussione «adulta» sulle intenzioni del governo. «Stiamo restando indietro rispetto al resto del mondo. Dobbiamo vedere un cambio di passo, decisioni più rapide e una maggiore chiarezza con il pubblico», ha scritto.

Johnson, che è stato in pericolo di vita («poteva andare in entrambe le direzioni», ha detto all’uscita dall’ospedale), è restio a rilassare le misure restrittive, imposte originariamente il 23 marzo, per paura di una seconda ondata di contagi. Ma alcuni tra i conservatori temono le ripercussioni economiche di una chiusura prolungata. Come i capitani della City, che chiedono una graduale riapertura.

Raab non si è sbilanciato sui passi successivi, limitandosi a dire che la fase è «delicata» e bisogna procedere con cautela. Ha escluso un ritorno al passato, parlando invece di una «nuova normalità» in cui misure di distanziamento sociale – anche nelle scuole, quando riapriranno – dovranno continuare ad essere osservate. E il governo sta considerando una quarantena di due settimane per chi entra nel Regno Unito, con la possibilità di un «visto d’ingresso» negli aeroporti.

Il Paese sembra aver passato il picco dei contagi, ma la curva si attenua lentamente. E la soglia di ventimila morti ha riacceso le polemiche sui ritardi del governo nell’imporre il «lockdown» e sulle attuali difficoltà di centrare l’obiettivo di centomila test al giorno. Secondo alcune stime, il bilancio potrebbe essere ancora più drammatico – addirittura quarantamila – considerando i decessi nelle abitazioni o nelle case di riposo. Da oggi gli occhi del Paese saranno nuovamente puntati su Boris Johnson, sul famoso portone nero al numero 10 di Downing Street e sulle prossime mosse del premier.

Sorgente: Boris Johnson rientra a Downing Street: “Potevo morire, sono pronto a lavorare” – La Stampa – Ultime notizie di cronaca e news dall’Italia e dal mondo

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