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App Immuni, domande e risposte (e il grosso problema con Apple e Google)

Cosa sappiamo dell’applicazione scelta dal ministero dell’Innovazione e perché rischia di non funzionare su iOs e Android

di Martina Pennisi ed Elena Tebano

Cos’è l’app Immuni?

La app Immuni è un supporto tecnologico al cosiddetto contact tracing , il tracciamento dei contatti, cioè il processo con il quale, una volta individuata una persona contagiata, si ricostruiscono i suoi incontri precedenti per trovare le persone che può avere a sua volta infettato. La app velocizza e rende più certa la ricostruzione dei contatti rispetto a quanto si potrebbe fare «a mano» o «a voce».

Come funziona?

Quando sarà pronta (si parla di maggio, ma c’è ancora molto da chiarire, anche dal punto di vista tecnico, come vedremo), Immuni si potrà scaricare gratis dall’App Store di Apple e da Google Play per Android. Il ministero dell’Innovazione, che la vuole open source, ha spiegato di averla scelta perché grazie al bluetooth permette agli smartphone di riconoscere e registrare i codici identificativi degli altri smartphone, sempre dotati di Immuni , che si trovano nelle vicinanze. Una volta installata basterà scaricarla e andare in giro con il telefonino (se tutto andrà come deve, come vedremo/2). Bisognerà intervenire solo se ci si dovesse scoprire positivi al virus: con il risultato del test verrà fornita una chiave che sbloccherà la lista dei codici degli altri utenti che verranno avvisati con una notifica. C’è inoltre la possibilità di compilare un «diario clinico» in cui inserire sintomi legati al Covid-19 (febbre, perdita dell’olfatto etc.) e il loro aggravamento. È possibile aggiungere un’interfaccia per contattare il personale sanitario.

Rileva nome e numero di telefono?

Non vengono registrati né i dati anagrafici né il numero di telefono e l’app non accede alla rubrica telefonica e non avvisa chi è a rischio con un sms. L’indicazione del ministero è chiara: i dati trattati dal sistema vanno «resi sufficientemente anonimi da impedire l’identificazione dell’interessato». Luca Foresti, uno dei suoi ideatori, ha dichiarato in un’intervista al Corriere che Immuni individua gli smartphone con un codice anonimo.

Conosce la mia posizione e i miei spostamenti?

È stata scelta una tecnologia Bluetooth low energy per rilevare non la posizione nello spazio, ma i cellulari nelle vicinanze che impiegano la app: Immuni non guarda dove siamo, ma chi abbiamo incontrato. Al momento non è previsto l’uso del Gps (lo strumento che permette a Google Maps di vedere come ci spostiamo) con cui si potrebbero anche localizzare gli incontri, e con essi eventuali focolai, e ricostruire gli spostamenti dei positivi.

Dove e quanto sono conservati i dati? Chi ne dispone?

Questa è la parte più delicata su cui dovranno esprimersi governo e Parlamento. Ieri il commissario per l’emergenza Domenico Arcuri ha dichiarato che i dati «verranno salvati su server pubblici e italiani nel rispetto delle leggi nazionali e sovranazionali sulla privacy». Quindi: no a società americane come Amazon, sì a soggetti italiani come Sogei. Secondo Arcuri, inoltre, è fondamentale che l’app sia connessa al Sistema sanitario nazionale, in modo che questo «possa intervenire tempestivamente ed efficacemente». Anche per la task force di Vittorio Colao, come scrive Lorenzo Salvia sul Corriere di oggi, «ci deve essere un unico gestore dei dati, non solo per motivi di sicurezza, ma anche per fare in modo che i dati parlino tra loro e la mappatura sia efficace». Questo ci porta al nodo della conservazione e dell’elaborazione dei dati: sul server centrale o sui dispositivi degli utenti? O un ibrido? Dalla risposta dipenderà anche la compatibilità con il sistema che stanno realizzando Apple e Google, che prevede che i dati rimangano solo sui dispositivi e di fatto è indispensabile perché Immuni e tutte le app degli altri Stati funzionino pienamente. In Regno Unito e Francia il problema è già conclamato. Bending Spoons — a quanto risulta — sta cercando una mediazione con i due colossi, mentre segue l’evoluzione del progetto europeo Pepp-pt , di cui fa parte. Il rischio per gli sviluppatori è infatti quello di trovarsi fra l’incudine, Apple e Google che gestiscono i due sistemi operativi della quasi totalità degli smartphone; e il martello, i governi che vogliono gestire sia i codici degli infetti sia quelli dei loro contatti così da mappare la diffusione della malattia (trecento accademici hanno sostenuto la pericolosità di questo secondo approccio in una lettera aperta. Dello stesso avviso il Nexa Center for Internet and Society del Politecnico di Torino). I dati comunque dovranno essere cancellati a fine emergenza.

Quali telefoni sono compatibili?

Sarà scaricabile su tutti gli smartphone Android e iOs (se, come dicevamo sopra, si troverà un accordo). Rimane escluso chi ha un cellulare di vecchia generazione (il 20 per cento degli utenti mobile in Italia, aveva detto al Corriere Foresti) e chi non ha dispositivi su cui installare l’app.

È obbligatoria?

Ieri il premier Giuseppe Conte ha assicurato che il download dell’app sarà volontario. Sono al vaglio, ha detto Arcuri, «facilitazioni di natura sanitaria» per chi la scarica. Un’ipotesi potrebbe essere la teleassistenza medica. Il sistema per essere efficace deve essere scaricato da oltre la metà della popolazione.

Una versione ridotta di questo articolo è stata pubblicata sul Corriere della Sera del 22 aprile 2020

Sorgente: corriere.it
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