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INTERVISTA alla cooperante italiana Federica Riccardi appena rientrata dalla Repubblica Democratica del Congo. Riccardi si è lasciata dietro un Paese che deve fare i conti con il coronavirus e, da sempre, con tante altre malattie infettive. Ma la più grave delle malattie che affligge la Rdc e gran parte dell’Africa è il neocolonialismo che consente a vecchie e nuove potenze coloniali di continuare lo sfruttamento economico del continente, quasi sempre attraverso le multinazionali.

ASCOLTA L’INTERVISTA – cliccando qui

 

LE FOTO E LA SCHEDA SU KINSHASA SONO DI FEDERICA RICCARDI

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La situazione a Kinshasa

Kinshasa è una città enorme, si estende su quasi 10 000 km2 e di cui non si conosce con sicurezza neanche il numero degli abitanti, le stime vanno dai 15 ai 20 milioni di persone.

La città è stata quasi subito isolata dopo la scoperta dei primi casi e le vie di accesso via terra, fiume e aria sono state interrotte. il problema delle autorità è stato infatti quello di impedire che il contagio arrivasse nelle altre regioni.

 

All’interno di Kinshasa si è fatta fatica ad imporre delle misure di contenimento e, dopo qualche esitazione si è decisa la chiusura totale, e per diverse settimane, di una piccola zona chiamata La Gombe, una municipalità dove sono concentrate le istituzioni, le ambasciate, le organizzazioni internazionali.

La Gombe è il focolaio del coronavirus e questo si spiega perché sono i più ricchi quelli che viaggiano ed è tra loro che i primi casi si sono manifestati.

 

Il problema è che le altre numerose municipalità della città, dove ci sono in totale più casi che alla Gombe, sono rimaste aperte e i miei colleghi mi dicono che la vita li scorre non proprio normalmente ma senza chiusure, e dove dunque il virus, di fatto, continua a circolare.

 

Nelle cités, nei quartieri popolari di Kinshasa, le misure di prevenzione come la chiusura delle attività per più settimane sono difficili da applicare. Le case sono affollate, mancano spesso elettricità, acqua e non ci sono fognature. Soprattutto la gente vive alla giornata, la maggior parte sono costretti ad uscire quotidianamente per guadagnare il necessario per mangiare. E molti lavorano nel polmone economico della città, la Gombe, dove appunto si sono ammalati.

 

Il problema di Kinshasa non è dunque solo sanitario, anche se mancano le strutture di base per far fronte ad un’epidemia su vasta scala.

I rischi di destabilizzazione della società e della sicurezza sono enormi, si ha già paura di rivolte, saccheggi, di attacchi contro le persone e le residenze dei più privilegiati.

 

E’ per tutti questi fattori che, con la mia ONG, Avocats Sans Frontieres, abbiamo deciso la mia evacuazione in Italia già un paio di settimane fa.

A Kinshasa ho lasciato i miei colleghi, che ormai sono tutti in telelavoro malgrado le enormi difficoltà legate alla connessione internet e alla mancanza di elettricità.

 

In questo momento stiamo lavorando e siamo particolarmente preoccupati per la situazione nelle prigioni, dove l’accesso è stato negato alle famiglie e agli avvocati come misura preventiva.

C’è stato in realtà un tentativo da parte delle autorità di reagire alla situazione con la liberazione di prigionieri incarcerati per delitti minori, circa 1200 sono usciti in tutto il paese, il che comunque rappresenta una goccia nel mare per le carceri in Congo.

Solo a Makala, la prigione di Kinshasa, che è nella situazione più drammatica, ci sono infatti circa 9000 prigionieri, il 70% dei quali in detenzione preventiva irregolare e con un tasso di occupazione del 600% e dove i detenuti dipendono anche solo per il cibo dalle famiglie dato che lo stato non provvede ai bisogni più basilari.

Questo puo’ far capire quali sarebbero le conseguenze della diffusione del virus in questi luoghi che sono ormai isolati.

 

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Sorgente: AFRICA-AUDIO. Congo: dopo l’Ebola il Covid-19 ma la malattia più grave è il neocolonialismo

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