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Emergenza Covid-19. Gli iscritti Cgil ieri si sono fermati per otto ore: «L’Aerospazio non è essenziale al paese»

Sciopero di otto ore indetto dalla sola Fiom ieri per le aziende dell’Aerospazio e Difesa, dopo l’agitazione che c’era già stata lunedì con Fim e Uilm. Le proteste sono partite perché le aziende del settore non vogliono fermare la produzione. Per rientrare tra le imprese strategiche utilizzano le maglie larghe del punto H inserito nel decreto del Presidente del consiglio del 22 marzo: «Sono consentite le attività dell’industria dell’Aerospazio e della Difesa, nonché le altre attività di rilevanza strategica per l’economia nazionale, previa autorizzazione del prefetto della provincia ove sono ubicate le attività produttive».

IN AVIO AERO lavorano 4.500 dipendenti nelle sedi di Rivalta di Torino, Brindisi, Pomigliano d’Arco (in provincia di Napoli) e Cameri (in provincia di Novara). A Rivalta un lavoratore è risultato positivo al Covid-19, due a Pomigliano. «Il settore ha ripreso le produzioni lunedì – spiega Claudio Gonzato, coordinatore dell’Aerospazio per la Fiom Cgil nazionale -. Avio ha attivato la procedura ma non mi risulta che abbia già l’autorizzazione dei prefetti. Hanno potuto richiamare i lavoratori subito perché hanno utilizzato il capoverso 4 dell’articolo 1 del dpcm per il quale le aziende che devono terminare delle attività in corso possono lavorare fino al 25 marzo. Ma Avio ha intenzione di proseguire e quindi non ottempera al decreto del premier Giuseppe Conte».

LA FIOM chiede invece una stretta sulle produzioni non essenziali: «Avio realizza motori per velivoli – prosegue Gonzato -, un comparto fermo perché è ferma la committenza. Queste linee vanno bloccate, le attività si potranno riprendere quando sarà finita la fase di espansione dell’epidemia. Poi si recupererà con responsabilità quello che si è perso. Vanno garantite le produzioni essenziali non il profitto d’impresa. Le attività essenziali del settore sono la manutenzione e la revisione dei velivoli che servono alla pubblica utilità e alle forze armate per la gestione della fase epidemiologica. Le altre possono essere rinviate. E comunque si può proseguire solo a condizione che vengano salvaguardate la salute e la sicurezza dei lavoratori».

CGIL, CISL E UIL avevano chiesto che «prima dell’avvio delle attività nell’Aerospazio si provvedesse in sede aziendale alla verifica delle nuove disposizioni ministeriali relative alla natura delle attività essenziali, delle autorizzazioni prefettizie e se ricorressero le condizioni di sicurezza definite nel Protocollo condiviso dalle parti sociali del 14 marzo». Sull’ultimo punto Gonzato conclude: «I dispositivi di protezione individuale reperiti da Avio non bastano per tutti».

Tra gli operai a Pomigliano c’è il timore di infettarsi: «Nello stabilimento partenopeo lavorano in 1.500 – spiega Rosario Rappa, segretario generale Fiom Napoli – ma tra malattie, smart working e scioperi adesso sono in media 400. Un gruppo è appena tornato dalla quarantena. Le distanze sono rispettate e ci sono le mascherine perché non ci sono il resto degli operai. Ma il tema vero sono le tante microaziende non sindacalizzate dell’indotto. In quei siti chi farà rispettare le regole a tutela dei dipendenti?».

NEL SITO LEONARDO di Pomigliano un operaio è risultato positivo al Covid-19 e un altro è in attesa di conferma: «Nel caso del colosso controllato dal ministero dell’Economia – prosegue Rappa – l’indotto in tutta Italia conta circa 100mila addetti. Nell’hinterland partenopeo Leonardo realizza aerostrutture, una produzione che può essere fermata. Quando si dichiarano gli scioperi si tutelano i settori di pubblica utilità, comparti che non includono Leonardo né Avio. Il dpcm avrebbe dovuto applicare lo stesso criterio».

Sorgente: «Operai infetti in Avio e Leonardo. Bloccare le linee» | il manifesto

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