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L’appello ai Comuni: “Si diano da fare per dare un domicilio a chi non ce l’ha”. E sui braccialetti elettronici: “Non bastano”

di LIANA MILELLA

ROMA – Mauro Palma, il Garante nazionale dei diritti delle persone detenute o private della libertà, entra nel suo ufficio dietro Regina Coeli e apre il suo computer: “In questo momento ci sono 58.810 detenuti nelle camere di pernottamento, cioè i detenuti realmente  in carcere…”.

E questo dato cosa significa?
“Vuol dire che c’è un calo rispetto ai dati che precedono l’esplosione del Coronavirus, quando i detenuti erano, al 29 febbraio, 61.230”.

 

Che è successo?
“L’emergenza, prima ancora dei decreti, ha già spinto a trovare tutte le soluzioni che, nella collaborazione tra tribunali di sorveglianza e istituti, erano possibili in termini di licenze per chi già si trovava in semilibertà e i permessi premio per chi ne usufruiva. Niente di nuovo, ma c’è stata solo un’accelerazione sotto il controllo della magistratura. Quindi anche un grande lavoro degli operatori del carcere nel preparare le carte. Poi, negli ultimissimi giorni, ci sono stati anche gli effetti del decreto…”.

Quindi è andato a casa chi già era semilibero?
“Sì, quei detenuti adesso si trovano a casa in detenzione domiciliare, e poi ci sono le scarcerazioni di chi già aveva dei permessi, e che hanno ottenuto un prolungamento”.

Però tutto questo, soprattutto dopo le parole di Mattarella, non basta.
“Sì, non basta. Perché c’è un problema di spazi, il carcere ne ha bisogno per affrontare un’epidemia dove è necessario isolare le persone. C’è estremo bisogno di tutelare il personale per avere relazioni non troppo vicine con i detenuti. Servono spazi non solo per fornire i presidi sanitari, ma proprio per non stare troppo vicino alle persone. Infine i detenuti stessi hanno il diritto di non essere costretti a stare a pochi centimetri l’uno dall’altro, perché la capienza regolamentare delle nostre prigioni è di 51.094 detenuti, ma ci sono quasi 4mila posti non disponibili per lavori in corso”.

Lei sta dicendo che in concreto bisogna il più rapidamente possibile svuotare il carcere?
“Svuotare è un espressione che non userei mai. Io dico solo che bisogna alleggerire il carcere in modo drastico andando a incidere su tutte quelle situazioni in cui si può esercitare una sicurezza esterna senza mantenere la detenzione”.

Realisticamente, con questa situazione politica, lei cosa vede possibile?
“L’emergenza sanitaria deve superare la contrapposizione politica perché è interesse di tutti che questa parte di cittadini italiani non sia attaccata dal virus, anche per i riflessi sulla comunità esterna. I detenuti sono un pezzo della nostra società, è un pezzo vulnerabile. Oggi l’emergenza supera tutto. Tenga conto che abbiamo 22.374 persone condannate che hanno una pena residua inferiore a tre anni”.

Ma lei si rende conto che il centrodestra, già in battaglia su questi temi, farebbe le barricate nell’ipotesi di scarcerare detenuti in numeri così alti?
“Sono convinto che anche il centrodestra, come tutte le altre forze, pur avendo un’idea diversa della pena, ha a cuore la dignità delle persone. Detto questo, non è un problema di scarcerazioni, ma di graduale passaggio, a partire da chi ha un anno ancora da scontare, a forme diverse di esecuzione penale. Che ci deve essere, perché la pena deve essere certa, ma ciò non vuol dire rifiuto della flessibilità. Per questo bisogna passare a forme diverse di esecuzione che non affollino le carcerati”.

Visto che il decreto deve essere convertito nei prossimi giorni le cosa propone?
“Il decreto incide solo su una posizione molto ridotta, perché riguarda chi deve scontare ancora 18 mesi. Bisogna non far dipendere, se non quando è proprio necessario, dal braccialetto elettronico l’effettiva detenzione domiciliare. Il braccialetto va potenziato, va sveltita la procedura, ma non può essere per tutti l’elemento preclusivo”.

Ma lei sa che i numeri dei braccialetti disponibili sono molto esigui…
“Proprio per questo credo che il braccialetto vada usato solo quando ce n’è un effettiva necessità. Aggiungo che comunque già le sezioni unite della Cassazione, nel 2016, pure in un contesto diverso, hanno affermato il principio che la non disponibilità del braccialetto non può essere un criterio perché il giudice non possa decidere anche sulla misura da prendere”.

Quindi lei realisticamente a che misure pensa?
“A un’estensione della liberazione anticipata, al maggiore sostegno agli uffici dell’esecuzione penale esterna per dare l’affidamento in prova al servizio sociale. Comuni e territorio devono provvedere a dare un domicilio a tutte le persone detenute che ne sono prive”.

Scusi, ma non sta chiedendo I’impossibile?
“No, perché nel nostro panorama c’è moltissimo volontariato, e tanti luoghi da utilizzare. Si tratta solo di mettere in rete queste energie che il territorio ha già”.

Ma lei, proprio in questo momento, teme altre manifestazioni violente nelle carceri?
“Non le temo. Invece temo soprattutto che non ci siano condizioni di tutela per tutte le persone che lavorano in carcere, che entrano materialmente ogni giorno, che fanno un lavoro che le espone e quindi, di conseguenza, può esporre avere conseguenze sugli altri. La loro protezione è un dovere per tutti noi e anche un fattore di protezione per chi è ristretto in carcere”.

Sorgente: Coronavirus, il garante dei detenuti: “Nelle carceri non è più tempo di rivolte. ma deve uscire subito chi ha poca pena da scontare” – la Repubblica

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