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Abbiamo delle ipotesi, ma la certezza verrà solo a posteriori. Ecco alcune delle domande rimaste in sospeso

di Silvia Turin

Sono mesi che leggiamo e studiamo il coronavirus, ma molte domande rimangono senza risposte sicure. È normale, specie quando si tratta di una pandemia: gli studi vengono fatti più velocemente e spesso le decisioni si devono basare su ipotesi ancora in attesa di verifica; l’emergenza produce sottovalutazioni o mappature carenti; i numeri di un contagio così diffuso sono solo provvisori, ma spesso sono quelli su cui si basano le descrizioni della natura dell’epidemia.

Ci sono tantissime cose che ancora non sappiamo del virus. Abbiamo delle ipotesi, ma la certezza verrà solo a posteriori. Ecco alcune delle domande in sospeso.

Da dove proviene esattamente?

Il virus è stato rilevato per la prima volta a Wuhan, in Cina, alla fine del 2019, a partire da un gruppo di casi di persone che avevano frequentato un mercato di animali. Il coronavirus, ufficialmente chiamato Sars-CoV-2, è strettamente correlato ai virus che infettano i pipistrelli, tuttavia non è ancora chiaro quale sia stato l’animale “ponte” tra il pipistrello e l’uomo. Il collegamento mancante, che alcuni ipotizzano possa essere il pangolino, rimane sconosciuto e potrebbe essere in futuro fonte di ulteriori infezioni.

Quando si è diffuso?

Quando si è diffuso in Cina? E in Italia? I casi zero sono sconosciuti anche se ci sono ipotesi. Uno studio italiano afferma che il coronavirus è nato in Cina già a ottobre-novembre: la ricerca viene condotta nel laboratorio della Clinica delle Malattie Infettive del DIBIC, presso l’Ospedale Sacco di Milano (ASST Fatebenefratelli Sacco di Milano) e si tratta di un’indagine epidemiologico molecolare, svolta cioè sulle variazioni del genoma virale. Lo stesso studio indaga sul giorno zero in Italia, il virus potrebbe essere entrato nel Paese ancora prima del blocco dei voli dalla Cina, mentre il paziente zero europeo potrebbe essere arrivato in Germania il 24 gennaio. Non ci sono certezze quindi sui primissimi pazienti, che in una situazione normale sono importanti per circoscrivere il virus tracciando subito tutti i contatti e anche per la storia stessa dell’epidemia.

Il virus muterà?

Parlando delle caratteristiche intrinseche di un virus, è importante capire se muterà o stia mutando. I virus mutano continuamente, ma la maggior parte delle alterazioni del loro codice genetico non fa una differenza significativa. Come regola generale, di solito i virus si evolvono a lungo termine in modo meno micidiale (come è successo alla SARS), ma ciò non è garantito. La preoccupazione è legata al fatto che se il virus muta, il sistema immunitario non lo riconosce più e un vaccino specifico non funziona più (come accade con l’influenza). Per ora questo coronavirus sembra non mutare, ma la sua storia nella specie umana è ancora troppo recente.

Avere preso il coronavirus rende immuni?

Le mutazioni chiamano in causa l’immunità a una malattia. Alcuni virus sviluppano immunità permanente, altri no, altri temporanea. L’esposizione ai quattro coronavirus endemici esistenti produce un’immunità che dura più a lungo di quella contro l’influenza, ma non è permanente. Per ora non sappiamo come si comporterà questo virus. In merito alle notizie su persone guarite che l’hanno preso una seconda volta, possiamo dire che in questo caso si tratta di ricadute. Probabilmente il virus non era stato ancora eliminato dal corpo, era latente. La questione dell’immunità è vitale per comprendere cosa accadrà a lungo termine o nel caso della seconda ondata.

Ci sarà la seconda ondata?

Potrebbe ricominciare tutto con una reimportazione dei casi da aree del mondo dove l’infezione ha avuto un andamento più ritardato. Il problema in generale è la non-sincronia dei focolai epidemici in tutto il mondo. Potremmo stare tranquilli quando vedremo una sostanziale riduzione del numero dei casi anche negli altri Paesi. Diversi virus sono ricorrenti, ad esempio la MERS non è mai finita. La speranza per questo è che mantenga l’attuale relativamente limitata patogenicità e letalità e che non muti geneticamente. Le ipotesi in campo sono: il contenimento ha successo (come con la Sars); l’epidemia si estingue dopo aver contagiato il maggior numero possibile di persone (come per Zika); il virus perde di intensità e resta endemico come altri che continuano a circolare (come l’influenza).

In estate ci saranno meno casi?

Raffreddori e l’influenza sono più comuni nei mesi invernali che in estate, ma non è ancora noto se il clima più caldo altererà la diffusione del virus. Ci sono alcuni studi che convergono sull’ipotesi che il COVID-19 preferisca un clima fresco e asciutto rispetto a Paesi con clima caldo e umido. Un fenomeno che era già noto per il virus della SARS. Comunque non basterebbe per azzerare i casi.

Quante persone sono state infettate davvero?

È una delle domande più elementari, ma anche una delle più cruciali e di difficile risposta. Ci sono state centinaia di migliaia di casi confermati in tutto il mondo, ma questa è solo una frazione del numero totale di infezioni. E le cifre sono ulteriormente confuse da un numero sconosciuto di casi asintomatici: persone che hanno il virus ma non si sentono male. Lo sviluppo di un test anticorpale consentirà ai ricercatori di vedere quanti hanno avuto il virus, ma servono studi su campioni rappresentativi. Il numero dipende anche da come si fanno i tamponi e si gestisce la comunicazione dei casi: alcuni studi che considerano tutte le variabili moltiplicano per dieci il valore finale, ma non ci sono certezze.

Quanto è letale?

Fino a quando non sapremo quanti casi ci sono stati, è impossibile essere certi del tasso di letalità o mortalità. Al momento la stima è che circa l’1% delle persone infette dal virus muore. Ma se ci sono molti pazienti asintomatici, il tasso potrebbe essere più basso. D’altra parte anche il numero dei morti per coronavirus non è così certo nei vari Paesi.

Qual è l’intera gamma dei sintomi?

I principali sintomi del coronavirus sono febbre, tosse secca e difficoltà respiratoria. In alcuni casi sono stati anche segnalati mal di gola, mal di testa e diarrea e vi sono crescenti ipotesi che una perdita del senso dell’olfatto e del gusto sia caratteristica, specie nelle fasi di guarigione. Ma la domanda più importante è se in alcuni pazienti sono presenti sintomi lievi, simili al raffreddore, come naso che cola o starnuti. Gli studi hanno suggerito che questa è una possibilità e che le persone potrebbero essere potenzialmente infettive senza sapere che stanno trasportando il virus: i famosi asintomatici.

Qual è il ruolo dei bambini nella diffusione?

I bambini possono sicuramente prendere il coronavirus. Tuttavia, sviluppano principalmente sintomi lievi. Capita che i bambini siano «super-diffusori» di malattie, perché si mescolano con molte persone (spesso nel parco giochi), o hanno contatti con tutta la famiglia. Per questo virus non è ancora stato studiato fino a che punto contribuiscono a diffonderlo.

Perché alcune persone si aggravano?

Il Covid-19 è un’infezione lieve per la maggior parte delle volte. Tuttavia, circa il 20% continua a sviluppare malattie più gravi, ma perché? Lo stato del sistema immunitario di una persona sembra essere parte del problema e potrebbe esserci anche qualche fattore genetico. Comprendere questo potrebbe portare a sviluppare sistemi di prevenzione per diminuire l’afflusso verso le cure intensive.

Sorgente: Coronavirus, cosa non sappiamo ancora del SARS-CoV-2 – Corriere.it

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