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Fuori dall’aula quando parla la toga. I legali stanchi di sentirsi definire una categoria di «pagati a pie’ di lista per tutti gli atti compiuti». Reagisce l’Anm

di Luigi Ferrarella

Appena la fanfara dei carabinieri intona per la prima volta in una inaugurazione dell’anno giudiziario milanese l’inno di Mameli, nell’Aula magna le «squadre» sembrano già in tensione pre-partita, ma di un match «telefonato» ormai da giorni di non memorabile batti e ribatti polemico, a seguito della inusuale lettera azzardata dagli avvocati penalisti finanche al presidente Mattarella (e non a caso liquidata come «irrispettosa» dal Comitato di presidenza del Csm) per chiedere di non mandare il consigliere Piercamillo Davigo a rappresentare l’istituzione. Stanchi di sentirsi definire una categoria di «pagati a pie’ di lista per tutti gli atti compiuti» nel gratuito patrocinio degli imputati non abbienti dove «compiono più atti possibile per aumentare la parcella» (schema in realtà non possibile visto che il sistema di liquidazione è per fasi), e scandalizzati dalla gag cabarettistica di Davigo sull’uxoricidio più conveniente del divorzio perché ce la si caverebbe con 4 anni (matematicamente impossibile), gli avvocati scaldano i muscoli distribuendosi i fogli con gli articoli 24, 27 e 111 della Costituzione (diritto inviolabile alla difesa, presunzione d’innocenza, giusto processo): quelli che poi sventolano, in 120 a beneficio di tv e fotografi, quando lasciano la sala appena Davigo inizia a parlare.

«Veto ad personam»

I magistrati in platea, invece, punteggiano di prolungati applausi la presidente della Corte d’appello Marina Tavassi «lieta di accogliere» chi «per tanti anni abbiamo avuto qui protagonista», il procuratore generale Roberto Alfonso quando gli rinnova «la nostra solidale amicizia», e il presidente Anm Luca Poniz che critica «gravemente impropri» l’«ostracismo preventivo» e il «veto ad personam». «Ci siamo allontanati — rimanda al mittente Andrea Soliani, presidente della Camera penale — così come nel 2010 si allontanarono alcuni magistrati milanesi in occasione dell’intervento di un rappresentante del governo, senza che per questo fossero etichettati come antidemocratici». Davigo non c’è già più, andatosene subito dopo la pausa successiva alla proclamazione formale d’apertura, senza far cenno alla polemica ma preferendo trattare le incognite del «procuratore europeo, autorità sovranazionale che impartirà ordini alla polizia giudiziaria italiana».

Bonafede: «Nessuna incostituzionalità»

Il 2020 è l’anno degli avvocati minacciati nel mondo, e l’evocazione delle persecuzioni dei colleghi turchi o iraniani serve al presidente dell’Ordine degli avvocati Vinicio Nardo per aggiungere che, «accanto alle aggressioni fisiche, quelle verbali possono essere ugualmente dannose: con la narrazione degli avvocati unici responsabili delle lungaggini processuali, i cui testimonial, re incontrastati dei talk-show serali, rivestono importanti ruoli, purtroppo anche nella magistratura, impegnandone l’autorevolezza, in un quasi generalizzato silenzio». Il ministro della Giustizia, Alfonso Bonafede, si tiene fuori dalla polemica, già gli basta e avanza la salva di critiche alla sua legge sulla prescrizione, a rischio incostituzionalità per Tavassi e Alfonso (non per l’Anm di Poniz, «no a contese manichee e a scenari apocalittici»): «Rispetto le opinioni divergenti — dice Bonafede — ma è evidente che, se ho proposto la legge, dal mio punto di vista non c’è alcuna incostituzionalità». E, in generale, «mi dispiace che a volte venga etichettato come “manettaro”».

 

Sorgente: Prescrizione, la legge finisce sotto attacco. E a Milano gli avvocati contestano Davigo – Corriere.it

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