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Guardiamo con fiducia alla ricerca e dovremmo farlo più spesso

Mentre cerchiamo di ricostruire il viso di chi ci tossiva accanto in treno la settimana scorsa e ce ne stiamo chiusi in casa per evitare occasioni di un possibile contagio, forse possiamo rimodulare il nostro terrore incipiente riflettendo su alcuni portati positivi della sindrome simil-influenzale da coronavirus che sta colpendo il nostro paese. Dopo aver riconsiderato nel giusto contesto storico e naturalistico l’insieme dei microrganismi, patogeni compresi, e avergli restituito il ruolo di veri dominatori fra i viventi (altro che sapiens), abbiamo l’occasione di riportare la scienza in cima ai parametri che ci consentono di progredire e intervenire sul mondo. Di fronte al pericolo per la nostra salute, o addirittura per la vita, finalmente vedremo spazzate via le decine di notizie prive di fondamento che circolano sui germi e sulle epidemie. E, magari, resteranno solo i dati scientifici e le indicazioni dei ricercatori a consentire di orientarci.

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Per prima cosa vedremo finalmente terminare una polemica annosa e divisiva come quella sui vaccini: non credo ci sia un solo italiano che, nel caso esistesse un vaccino contro il Covid-19, rifiuterebbe di utilizzarlo su un proprio figlio adesso. Speriamo che sia l’occasione di accettare per sempre il ruolo che hanno i vaccini proprio per la protezione delle fasce più deboli o meno “pronte” a reagire ai patogeni, un auspicabile ritorno alla luce della scienza. In secondo luogo, di fronte a germi potenzialmente molto infettivi, si riducono gli spazi per le forme “medicali” scientificamente non provate: non credo si possa attualmente trovare alcun candidato a una cura omeopatica per questa influenza. I farmaci hanno nel nome stesso impresso l’aspetto eventualmente venefico, per questo nella maggioranza dei casi funzionano. Tenendo sempre presente che l’obiettivo non è l’eradicazione di virus e batteri, operazione comunque impossibile e nemmeno auspicabile, ma la convivenza senza troppi danni.

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Ma è la scienza in generale che riprende la sua autorevolezza in questi casi, invocata a monte delle decisioni politiche e delle nostre abitudini di vita: non abbiamo una risposta a tutte le domande, ma un metodo scientifico per affrontare i problemi, sia si tratti di epidemie che di cambiamento climatico. Questo metodo si applica a tutte le discipline e costringe gli scienziati a parlare tutti la stessa lingua, quella delle pubblicazioni scientifiche, unico terreno di incontro oggettivo. Chi ha una nuova idea, per esempio un vaccino contro Covid-19, non rilascia un’intervista ai giornali o alla tv, ma scrive dati, metodo usato e conclusioni su una rivista in cui un comitato di revisori (anonimi e suoi pari grado) giudica se le premesse sono corrette, senza giudicare le conclusioni. Funziona così da decenni ed è una garanzia che la ricerca proceda correttamente. Ed è così che Albert Einstein ha conquistato il Nobel per la fisica.

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Certo, in questo caso, divisioni si possono ancora registrare: per esempio se il virus attuale abbia maggiore carica virale anche prima che l’ospite presenti sintomi riconoscibili o no, oppure se non aver trovato il paziente zero italiano sia un fatto positivo, perché vuol dire che è guarito, oppure un guaio, perché ci è sfuggito. I ricercatori discutono anche se questa da Covid-19 sia un’influenza relativamente debole, vista la mortalità bassa, ma comunque molto più alta della comune influenza stagionale e visto che almeno il 20% dei pazienti finisce in rianimazione. Ma si tratta, a ben guardare, di differenze di grado, non di genere, determinate dal fatto che il patogeno era sconosciuto ai sapiens e il tempo di osservazione è stato scarso (e ancor meno tempo c’è stato per scrivere un articolo “robusto” sulle riviste scientifiche, dunque siamo ancora nella fase di discussione).

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Siamo impauriti, certo, ma possiamo guardare con fiducia alla scienza e alla ricerca, magari cominciando a domandarci se non dovremmo farlo più spesso. Come per esempio con il cambiamento climatico, la vera emergenza del prossimo futuro. E’ vero, la ricerca ha bisogno di investimenti e ha un costo, ma in questi momenti scopriamo quanto costa, invece, l’ignoranza. La faccenda di Covid-19 è un paradigma di cosa significhi l’acquisizione scientifica di conoscenze corrette e di quanto proceda soprattutto per errori, piuttosto che per verità acclarate preventivamente. Non so perché, ma in questi giorni mi torna continuamente alla mente la strategia di Merlino, a duello magico contro Maga Magò, nel cartoon “La spada nella roccia”: dopo aver tentato diverse mutazioni poco efficaci in feroci animali, sceglie di trasformarsi in un germe patogeno molto aggressivo che riduce l’avversaria a letto con macchie e febbre. Aveva capito a chi apparteneva il mondo.

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