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Li Wenliang è stato arrestato, insieme a sette colleghi, all’inizio del contagio per aver diffuso “voci false”, quando le autorità locali sminuivano il virus. Poi riabilitato dalla Corte suprema. A Pechino è già un eroe nazionale, simbolo della lotta contro i silenzi del governo

dal nostro corrispondente FILIPPO SANTELLI

PECHINO – Non aveva del tutto ragione Li Wenliang. La misteriosa malattia che si stava diffondendo a Wuhan all’inizio di gennaio non era Sars. Ma il dottore non aveva neppure del tutto torto. Perché da quel nuovo virus era comunque il caso di proteggersi, molto più di quanto le autorità locali avessero detto ai cittadini. Ora Li Wenliang, insieme ai sette colleghi che avevano messo in guardia amici e conoscenti, “proteggete le vostre famiglie”, è diventato un simbolo. L’emblema di come all’inizio dell’epidemia, per diversi giorni, la priorità dei funzionari di Wuhan fosse evitare che la città cedesse al panico, piuttosto che informarla a dovere.

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Dopo aver postato in chat i loro messaggi d’allarme infatti, Li e i suoi sette colleghi sono stati convocati dalla polizia locale a “bere un tè”; come si dice da queste parti, e severamente rimproverati per le “bufale” che stavano mettendo in giro. La chat di gruppo cancellata. Oggi, un mese dopo, quelle bufale assomigliano a mezze verità, forse tre quarti. Le autorità di Wuhan hanno ammesso che la pubblicazione delle informazioni sull’epidemia non è stata perfetta. E la Corte suprema ha ufficialmente scagionato Li e colleghi: non era Sars come sostenevano, ma “sarebbe stata una fortuna se la gente li avesse ascoltati”.

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Non è stato solo riabilitato l’oftalmologo Li, qualcosa di più. Agli occhi di tanti cittadini cinesi, che in questi giorni riversano in Rete la loro rabbia, è diventato una specie di tragico eroe. L’uomo che prova a dire a tutti la verità, la verità che il regime, a seconda dei punti di vista, non vede, ignora o nasconde. Anche l’epidemia di Sars del 2003 aveva avuto una Cassandra simile, il suo nome è Jiang Yanyong. Medico, membro del Partito comunista, denunciò in una lettera come il governo cinese stesse intenzionalmente sminuendo la portata del contagio. Quando la sua lettera finì nelle mani dei media stranieri la storia venne diffusa, provocando le dimissioni del sindaco di Pechino e soprattutto i primi annunci veritieri della Cina sulla gravità dell’emergenza. Se non è stata una pandemia, lo dobbiamo anche a lui.

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Le differenze in questo caso non mancano, né vanno sottovalutate. Come detto, Li non ci aveva preso del tutto. Il 30 dicembre ha scritto in un gruppo di ex allievi della scuola di medicina che il suo ospedale aveva ricoverando sette pazienti provenienti da un mercato locale per una forma di Sars. Non era Sars, bensì un altro coronavirus, si sarebbe scoperto. Un virus di cui in quel momento non si sapeva ancora molto, per esempio che fosse in grado di trasmettersi da uomo a uomo. Eppure la prudenza raccomandata da Li e colleghi avrebbe dovuto essere suggerita anche dalle autorità, a giudicare da come l’epidemia è evoluta. Invece in quei giorni il mandato dei funzionari di Wuhan era azzerare ogni discussione sulla misteriosa malattia al di fuori di quelle ufficiali, molto striminzite e assai rassicuranti.

Solo diversi giorni dopo, ben 20, la trasmissione da uomo a uomo sarebbe stata ufficializzata. Tempo preziosissimo in cui il contagio poteva essere contenuto. Quando l’avvertimento di lì è stato fotografato invece, il medico è stato prima contattato dai dirigenti dell’ospedale e poi dalla polizia. Aveva turbato l’ordine sociale. Tornato al lavoro, ha visitato un paziente colpito dal virus, sviluppando i sintomi del contagio e finendo in quarantena.

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“Credo che in una società sana ci dovrebbe essere più di una voce”, si è limitato a dire Li al sito cinese Caixin dopo essere stato “scagionato”. Parole che puntano dritte al cuore del problema, più ampio del semplice binomio tra libertà di espressione e censura, o tra verità e falsità. Quella di Li tecnicamente era una notizia parzialmente falsa, o solo in parte vera. Ma quella delle autorità, nei primi giorni del contagio, è stata una comunicazione tardiva e incompleta, perché il suo obiettivo non era informare ma evitare il panico, grande spauracchio del Partito comunista. Sarà forse li modello migliore per arginare false notizie, chi le pubblica viene ancora arrestato, me non è certo il migliore per dare le notizie vere.

Sorgente: Coronavirus, riabilitato il medico che aveva avvertito la Cina e non era stato creduto – la Repubblica

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