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Tre anni di formazione, assunti regolarmente ma in attesa di permesso di soggiorno. Così hanno perso tutto. Il datore di lavoro: “Disumano e assurdo”

di Alessandra Ziniti

Tre anni di vita, di serenità, di crescita, di integrazione, finalmente una prospettiva di futuro, cancellati con un colpo di spugna dal decreto sicurezza: niente permesso di soggiorno, niente lavoro, niente casa. Con l’unica prospettiva di diventare uno dei 600.000 invisibili e di bivaccare tra panchine e stazioni cercando di sopravvivere. È finita così per buona parte dei 120 richiedenti asilo e titolari di permessi provvisori di protezione umanitaria che avevano creduto che quel contratto regolare, uno stipendio da 1.000 a 1.200 euro per un lavoro da magazziniere o autista o camionista presso una delle più grandi aziende di logistica italiana fosse finalmente l’inizio della loro nuova vita. Ed è finita così per la Number 1 logistic di Parma che, dopo aver investito per tre anni sulla formazione di questi migranti, si è vista costretta a licenziarli e si è ritrovata a corto di personale visto che di italiani disposti a fare quei lavori non se ne trovano. Un altro “regalo” delle norme del primo decreto sicurezza, quello che ha cancellato la protezione umanitaria negando anche la conversione di chi già l’aveva in permessi di lavoro condannando così migliaia di immigrati che avevano già un contratto a tornare nel buco nero della clandestinità.

L’ingegnere Renzo Sartori, presidente della Number 1, gruppo da 4.000 dipendenti, e vicepresidente nazionale di Assologistica parla da imprenditore: “Quello che mi auguro è che non se ne faccia una questione di lotta politica, che si abbia il coraggio di affrontare un problema che può e deve essere risolto. Io non dico che chiunque deve essere integrato ma dare la possibilità di imparare la lingua, entrare in un percorso formativo e avere un posto di lavoro, e dunque di rimanere in Italia a chi riesce, è una cosa da cui lo Stato avrebbe tutto da guadagnare, anche in termini di contributi pensionistici. Parliamo di un miliardo all’anno, non di bruscolini”.

Conviene allo Stato e conviene alle tantissime aziende italiane che, come la Number 1, faticano a trovare personale italiano. “Adesso ci toccherà cercare sul mercato locale e francamente sarà un problema trovare gente disposta a fare questi lavori semplici. La nostra idea di investire sulla formazione dei richiedenti asilo è nata proprio per necessità, per l’impossibilità di trovare risorse sul territorio. Siamo andati negli Sprar a cercare richiedenti asilo e abbiamo investito, insieme ai nostri partner, un bel po’ di soldi, soldi buttati alla luce di come si sono messe poi le cose”, osserva amaramente Sartori. Quasi 130.000 euro, tanto fino ad ora è costato il progetto Next (new experiment for training) di cui, con un contributo della Fondazione Cariparma, portato avanti dalla Number 1 insieme alla Caritas parmense e di Fidenza e alla Ciac onlus: i primi tre cicli di formazione a cui sono stati ammessi 160 richiedenti asilo provenienti da 22 paesi e sbarcati in Italia negli ultimi cinque anni si sono già conclusi e per 120 di loro era arrivata l’assunzione.

“Ma adesso non abbiamo scelta – spiega l’ingegner Sartori – a parte pochi che erano già in possesso di permessi definitivi, la quasi totalità degli altri erano richiedenti asilo in attesa che le commissioni territoriali esaminassero la loro posizione o titolari di permessi umanitari provvisori che, alla scadenza, con l’entrata in vigore del decreto sicurezza non hanno più potuto essere rinnovati. E senza permesso non possiamo tenerli. Anche chi prova a fare ricorso, nelle more, non può lavorare. Un vero peccato. Per noi era un esperimento molto importante, un’opportunità. Abbiamo avuto modo di conoscere questi ragazzi, di apprezzare il contributo che hanno dato all’azienda e – elemento che lo Stato non dovrebbe sottovalutare – li abbiamo anche tirati fuori da contesti di sfruttamento e di caporalato offrendo loro regolari contratti di lavoro. Era un percorso virtuoso che il decreto sicurezza ha portato in un vicolo cieco. Ma poi per cosa? Teoricamente adesso, da irregolari, dovrebbero essere rimpatriati ma sappiamo bene tutti che questo non avviene. E la scelta dello Stato di ritrasformarli in dei fantasmi che si aggirano ai margini delle nostre città è disumana e incomprensibile”.

Sorgente: Storia di una follia: quei 120 licenziati dal decreto sicurezza di Salvini | Rep

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