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Il ministro dello Sviluppo economico: “La revoca della concessione ad Autostrade non è una ripicca ma la conseguenza dei 43 morti del Ponte Morandi”. E annuncia: “Inviterò i capigruppo della maggioranza per scrivere insieme il piano industriale dell’Italia dei prossimi dieci anni”

di ANNALISA CUZZOCREA

Il ministro dello Sviluppo Economico Stefano Patuanelli conferma il suo sì alla revoca delle concessioni ad Autostrade. Annuncia una chiamata collettiva ai capigruppo della maggioranza: “Scriviamo insieme il piano industriale dei prossimi dieci anni”. Conferma che la scelta migliore, per Alitalia, sarebbe la vendita dopo un risanamento “che non deve toccare i posti di lavoro”. E dice per la prima volta la sua sul posizionamento del Movimento 5 stelle: “La sua sede naturale è il campo riformista”. E se cambia lo statuto, “è tempo di una leadership collegiale”.

La revoca delle concessioni ad Autostrade divide il governo. Come 5 stelle siete disposti a trovare una mediazione?
“Non si tratta di mettere bandierine. La revoca è la conseguenza dei 43 morti nel crollo del ponte Morandi. Lo stato manutentivo delle strade gestite da Aspi fa percepire un senso di insicurezza ai cittadini che salgono in macchina”.

Anas farebbe meglio? L’ultimo viadotto è crollato a Savona.
“Al di là di casi particolari, è innegabile che le verifiche sulle manutenzioni fatte da Aspi sono state più che negative. Non è una ripicca”.

Che senso ha far pagare un’intera società, quindi i suoi lavoratori, per le colpe dei manager che hanno fatto profitti senza garantire controlli e sicurezza?
“Trovare eventuali colpevoli è compito della magistratura, non del governo. Il sistema delle concessioni doveva portare più investimenti, più sicurezza, pedaggi più bassi, ma ha portato solo utili per il privato, meno sicurezza e meno investimenti. Il rapporto tra profitti e investimenti del sistema delle concessioni è più alto che in qualsiasi altra realtà imprenditoriale”.

Devono pagare i dipendenti?
“Continuerà a esserci una rete autostradale e la necessità di manutenerla e di gestirla”.

Gli investitori stranieri sono in fuga. Non la preoccupa neanche questo?
“Garantire che chi si assume un impegno con il governo lo rispetti e se non lo fa sia mandato via è il modo migliore di dare certezza agli investitori”.

A causa di questa situazione, Atlantia ha frenato sul salvataggio di Alitalia. Giuseppe Leogrande è chiamato a trovare una soluzione che a oggi non si vede. I prestiti ponte si succedono. Il destino di Alitalia è la nazionalizzazione?
“Atlantia è entrata in quel dossier sperando di averne un vantaggio. Sarebbe stato grave scendere a compromessi per questo. Il destino di Alitalia è essere rilanciata come compagnia di bandiera. Il percorso per farlo sarà deciso dal commissario e dal nuovo direttore generale, che nelle prossime settimane faranno una proposta di modifica del contratto di cessione e una proposta industriale”.

Per renderla pubblica? La stanno già pagando i cittadini.
“La verità è che su Alitalia è mancato il coraggio”.

Di fare cosa?
“Di verificare perché fatturi ad aereo più di Lufthansa, ma abbia una quota costi insopportabile. Il peso del personale non è tra quelli tagliabili, costa 400 milioni”.

E cosa andrebbe tagliato?
“Ci sono rotte in perdita che per decisione politica si è scelto di non toccare. Così come non si è messo mano a contratti di manutenzione totalmente fuori mercato. Leogrande e Zeni lavorano a questo”.

Per nazionalizzare o per vendere?
“L’operazione di mercato è quella che ha più senso”.

Sull’Ilva, il tavolo di oggi a Taranto è saltato. Perché?
“Dal territorio è arrivata la richiesta di un coinvolgimento della presidenza del Consiglio. Alcuni esponenti locali di forze della maggioranza hanno detto che si lavorava meglio nella scorsa legislatura. Faccio notare che del miliardo messo su quel tavolo al territorio non è andato un euro”.

Che succede con Mittal?
“Vogliamo continuare a lavorare per garantire una produzione siderurgica compatibile con l’esistente attraverso l’utilizzo di nuove tecnologie come il preridotto. Stiamo vedendo se ci sono le condizioni per farlo con Mittal. Una cosa è certa: da questa situazione non si esce con la prosecuzione dell’impianto così com’è, si esce con Taranto come punto di riferimento forte di una nuova siderurgia”.

Con i soldi pubblici?
“Ci sarà anche la presenza dello Stato, che crede in questo progetto”.

Lei ha lanciato l’idea di una nuova Iri. Il debito pubblico italiano in passato è arrivato alle stelle anche grazie agli sprechi e alla cattiva gestione delle imprese pubbliche. Crede davvero possa essere questa la soluzione alle tante crisi di sistema del Paese?
“Le annuncio che, anche per parlare di questo, nelle prossime ore manderò un invito a tutte le forze di maggioranza: dobbiamo scrivere insieme il piano industriale dei prossimi dieci anni, scegliere le priorità di sviluppo economico del Paese”.

Seguendo il modello neokeynesiano dello Stato imprenditore?
“Qui bisogna fare una riflessione su due temi diversi. Il primo sono le crisi di sistema: l’Europa deve aprire un dibattuto sugli aiuti di Stato quando ci troviamo davanti a eventi di questo tipo. Per il resto, io penso a un pubblico che sia guida e spalla degli imprenditori nel processo di transizione tecnologica del Paese”.

Che succede nel Movimento 5 stelle? Continua a perdere parlamentari, alla Camera il ministro Fioramonti ha dato il via a una scissione, il Senato è fuori controllo tra espulsioni, documenti anti-leader e passaggi alla Lega o al Misto. Di chi è la colpa di questo caos?
“Non è che se Fioramonti se ne va c’è una scissione. Pensava gli chiedessimo in ginocchio di restare, non è successo. Ci sono addii personali, ma non un’emorragia. E non c’è coerenza: chi vuole uscire dovrebbe dimettersi come si era impegnato a fare, non andare nel Misto. Non vedo ragioni politiche dietro queste uscite”.

Il malessere è diffuso ed evidente. Di Maio deve lasciare?
“No”.

Si dice che voglia farlo.
“La politica fatta con le veline e gli off the record mi fa orrore”.

Gli off dicono che lei potrebbe essere il nuovo capo politico.
“Di Maio è leader per 5 anni a partire dal 2017”.

Se glielo chiedesse Grillo?
“Il capo viene eletto, non nominato”.

Ormai tutti parlano di rivedere lo Statuto, che dà troppi poteri al leader e a Rousseau.
“Questa discussione sarà oggetto degli Stati generali. Credo ci possa essere l’esigenza di arrivare a una guida collegiale del Movimento. Ma Rousseau deve restare centrale perché è la piattaforma che ci consente di coinvolgere i cittadini nelle scelte”.

Cos’altro deve succedere agli Stati generali?
“Dovranno riguardare il perimetro dell’azione politica del Movimento 5 stelle e porre nuovi obiettivi. Non perché li abbiamo smarriti, ma perché abbiamo ottenuto molto di quel che ci eravamo prefissi in questi anni”.

E qual è il campo in cui dovrebbe giocare il Movimento secondo lei?
“La storia del Movimento parla di diritti dei cittadini, di lotta alle diseguaglianze, di ambiente, di diritti dei lavoratori. Il nostro campo è certamente quello riformista”.

Di Maio e altri pensano invece che dobbiate essere autonomi rispetto ai due schieramenti e fare da ago della bilancia.
“Io credo che il campo politico vada chiarito ai cittadini. Altra cosa è dire che in qualunque caso metteremo le nostre idee a disposizione di tutti, come abbiamo sempre fatto”.

Secondo il leader col proporzionale non ha senso scegliere.
“Io parlo di chiarezza della proposta politica. Le alleanze vengono dopo”.

Sorgente: Stefano Patuanelli: “Voglio i 5Stelle tra i riformisti” | Rep

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