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Sarà seguito il “modello Moi”. Entro Natale via le baracche in Germagnano, poi tutti gli altri insediamenti. In cambio, percorsi di inclusione: casa, formazione, inserimento al lavoro

TORINO. Il «modello Torino», quello che ha permesso di affrontare con successo un’emergenza trascurata per anni come l’occupazione delle palazzine all’ex Moi, non è finito in soffitta. Non è evaporato nemmeno con la vittoria in Regione della Lega, portatrice di un programma che più che all’inclusione guarda alla stretta legalitaria. Anzi, proprio con la Lega è arrivata la liberazione definitiva e rapida dell’ex villaggio olimpico. E ora con la stessa Lega il modello usato all’ex Moi viene riproposto sui campi rom dalla stessa alleanza istituzionale: Comune di Torino, Regione, Prefettura e Diocesi. Manca, rispetto a via Giordano Bruno, la presenza di Compagnia di San Paolo.

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Entro Natale le 36 persone che ancora abitano nel campo autorizzato di via Germagnano usciranno dalle baracche. A gennaio toccherà a un pezzo dell’insediamento in strada dell’aeroporto. Il percorso sarà molto simile a quello che ha portato rifugiati e richiedenti asilo fuori dall’ex Moi: uno sgombero dolce, in cui la legalità si accompagna a percorsi di inclusione che prevedono abitazioni, formazione e inserimento lavorativo. «Le azioni devono essere finalizzate al ripristino della legalità e dall’altro all’inclusione sociale delle minoranze etniche interessate», si legge nel testo approvato martedì scorso dalla giunta Appendino, che già nel 2017 ha avviato un progetto per il superamento dei campi.

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L’accordo ne è una evoluzione e nasce anche dalla collaborazione con il ministero dell’Interno, che attraverso la Prefettura ha stanziato 250 mila euro per questo primo intervento cui si aggiungono i 300 mila euro della Regione. Il prefetto Michele Di Bari, capo del dipartimento per l’Immigrazione, l’ha di fatto battezzato come un esperimento pilota che potrebbe poi essere applicato in altre realtà.

Anche gli strumenti sono gli stessi dell’operazione all’ex Moi: la Città dovrà nominare un project manager, figura di esperienza e competenza che sarà incaricato di fare da regista e coordinare tutti gli interventi. Dal canto suo la Città dovrà occuparsi delle bonifiche delle aree liberate. La Regione fornirà risorse e l’accesso a programmi già esistenti di formazione civico-linguistica, integrazione e lavoro. La Prefettura stanzierà altre risorse a avrà funzioni di coordinamento. Infine la Diocesi fornirà abitazioni per ricollocare le persone oltre alle sue strutture e ai suoi progetti.

Una task force che ricalca da vicino – anche nella suddivisione dei compiti – il modello Moi. E lo fa anche nell’obiettivo: coniugare sicurezza e accompagnamento. Il tutto mantenendo l’alleanza istituzionale anche con la Regione a trazione leghista.

Inutile dire che al governo regionale interessa raggiungere gli obiettivi della legge approvata a ottobre, vale a dire «la chiusura totale e definitiva dei campi in Piemonte», spiega l’assessore alla Sicurezza Fabrizio Ricca. Per arrivarci, la Regione ha ottenuto tempi più rapidi ma ha accettato che l’impianto complessivo non venisse stravolto, almeno a Torino. Altrove, dipenderà dai sindaci dei comuni interessati: in Piemonte ci sono 19 campi autorizzati con circa 2.200 persone. «Quello di Torino è l’inizio di un percorso», spiega Ricca. «Ho chiesto al prefetto Palomba di coordinare gli altri prefetti piemontesi per replicare questo schema in tutti i comuni nei quali esistono insediamenti rom per arrivare a superarli nel più breve tempo possibile».

Sorgente: Torino, saranno chiusi tutti i campi rom – La Stampa

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