Popolare di Bari, l’ultimo veto di Renzi “Quel decreto così non passa” I dem: Conte agisca o è finita | Rep
Solo 48 ore per la messa in sicurezza dell’istituto. Di Maio si sfila per paura di Salvinidi TOMMASO CIRIACO e ANNALISA CUZZOCREA
ROMA – Alle dieci di sera intorno al tavolo del Consiglio dei ministri si ritrovano solo Giuseppe Conte, Roberto Gualtieri, Dario Franceschini, Enzo Amendola, Roberto Speranza e Riccardo Fraccaro. Matteo Renzi ha appena fatto sapere che se andranno avanti con un decreto per salvare la banca popolare di Bari senza ascoltare le ragioni di Italia Viva, i suoi non lo voteranno. Di fatto, l’apertura di una crisi. Luigi Di Maio, che aveva già espresso i suoi dubbi, ritira la delegazione di ministri M5S. Il decreto salta. Franceschini guarda il premier e getta la spugna: “Così non ci sta neanche il Pd. Se non riesci a farli ragionare, rischiamo che salti tutto”.
Il commissariamento di Banca popolare di Bari fa esplodere la maggioranza giallo-rossa. Il piano del governo è quello di ricapitalizzare Mediocredito centrale, in modo che possa intervenire su Banca popolare di Bari e salvare l’istituto. Alle 20 e 18 – quando l’intervento della banca centrale è ancora solo una voce – Conte convoca un Consiglio dei ministri per dare il via al salvataggio pubblico. Ma un’ora dopo la riunione sembra saltare per colpa dei renziani, che si rifiutano di partecipare. “Ci hanno convocato mezz’ora prima, quando i nostri ministri erano già a casa – dice il coordinatore di Italia Viva Ettore Rosato – qualcuno ha fatto il furbo, non possiamo approvare un testo se ci trattano così, non siamo scemi”. I 5 stelle li seguono: “Serve una riflessione – dice Di Maio, impegnato a Catanzaro – dobbiamo aiutare i risparmiatori non i banchieri”. A quel punto, i ministri M5S, già arrivati a Chigi, vanno via. Resta solo la vice all’Economia Laura Castelli in anticamera. Ma il Consiglio dei ministri parte lo stesso, con dentro una fotografia surreale: non ci sono né renziani né grillini. Il premier è solo con Leu, i dem e una spaesata Luciana Lamorgese.
Conte non può permettersi di arrivare a lunedì senza una soluzione: i mercati aggredirebbero le banche e metterebbero a rischio l’intero sistema. Così prova ad andare avanti, cercando di forzare la mano insieme al ministro dell’Economia Gualtieri. Ma capisce che non può permetterselo: alla fine, dalla riunione, viene fuori solo uno scarno comunicato pieno di buone intenzioni. Servirà tutto il week end per trattare e convocare un nuovo cdm, forse domenica, comunque prima della riapertura delle borse. Per fare il decreto cercando di tenere dentro l’intesa tutta la maggioranza.
Quello che è in corso è un gioco del cerino tra alleati che non si fidano. “Italia Viva aveva partecipato a tutte le riunioni preparatorie – dicono i 5 stelle – ha solo aspettato il momento giusto per attaccarci”. E l’assalto del vicecapogruppo renziano alla Camera Luigi Marattin è in effetti furioso: “Sono tre mesi che litighiamo per 50 milioni della sugar tax e il 13 dicembre buttiamo un miliardo per salvare una banca dalle difficoltà dovute a come è stata gestita e a chi doveva vigilare? Vogliono farlo quelli che ci definivano amici delle banche, ma a queste condizioni noi non ci stiamo”.
È la reazione che Di Maio un po’ temeva, un po’ aspettava. Anche per questo, per tutto il pomeriggio aveva provato a frenare sull’idea del decreto: chiedeva di sapere quali sono le ragioni precise del commissariamento, se le perdite o la cattiva gestione. E voleva – in linea con i renziani – far venir fuori le responsabilità della vigilanza. Quindi, di Bankitalia. L’intenzione del leader M5S era quella di aspettare lunedì per fare in modo che nessuno potesse smarcarsi da una misura probabilmente impopolare, ma assolutamente necessaria. Lo spettro, per tutti, è sempre quello di Matteo Salvini, già sulle barricate: “Conte si dimetta immediatamente – chiede il leader della Lega – cosa è successo da pomeriggio a sera? Siamo nelle mani di una persona instabile”. Ci sono solo 48 ore per capire come uscire dall’impasse ed emanare il decreto. Cinque stelle e Italia VIva fanno rumore, ma è per il Pd che la misura è davvero colma: “Abbiamo partecipato al Consiglio per senso di responsabilità e per tutelare i risparmi dei cittadini – dice il capodelegazione Franceschini – le minacce, le aggressioni agli alleati, le assenze per fare notizia le lasciamo ad altri”.