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di Eugenio Scalfari

Il Movimento-partito dei Cinque Stelle si sta occupando principalmente del Mes al quale è contrario. Lo scontro all’interno della maggioranza di governo è abbastanza evidente anche se è soltanto una delle posizioni politiche dei Cinque Stelle di Luigi Di Maio.

Di Maio è tutto solo. Volutamente tutto solo per dare più evidenza a uno dei partiti numericamente più modesti che esistano in questa fase delicata della politica italiana. La settimana scorsa li abbiamo elencati tutti: dai più numerosi ai granelli di sabbia che peraltro si propongono con molta quanto ingiustificata presenza.

In questa situazione generale i Cinque Stelle sono numericamente il più modesto dei partiti realmente esistenti. La natura reale dei suoi iscritti è populista ma proprio come tale non è in crescita bensì
in decrescita e tuttavia la sua presenza in Parlamento è ragguardevole. Di Maio oscilla tra la solitudine di chi accetta una dittatura e un altro aspetto del tutto contrario, tanto da aver detto di sì all’incarico di ministro
degli Esteri del governo presieduto da Giuseppe Conte, che nacque politicamente come espressione dei Cinque Stelle e fu promosso proprio da Di Maio alla carica di primo ministro, un ruolo accettato anche da Salvini.

Su queste colonne lo abbiamo più volte chiamato il primo ministro burattino manovrato da due vice-primi ministri burattinai (Salvini e Di Maio), ciascuno dei quali con il suo partito alle spalle. Adesso tutto è cambiato, la struttura ministeriale è stata capovolta, Salvini non è più vice primo ministro ma leader della Lega che auspica lo scioglimento delle Camere e una nuova votazione entro i primi mesi dell’anno prossimo. In questa situazione Di Maio è abbastanza centrale nonostante la gracilità numerica dei propri iscritti populisti.
L’Italia allo stato dei fatti e nonostante le realtà formali si è trasformata in una nazione complessivamente populista. I partiti realmente esistenti come tali, nella sostanza si avviano tutti verso il populismo.

O meglio: i partiti veri e propri hanno modesta consistenza e sono circondati da una massa notevole di astensionisti ed un’altra altrettanto notevole che ha un’ispirazione e una militanza politica al di fuori dei partiti. Da questo punto di vista l’esempio più clamoroso è un’area di ispirazione socialdemocratica o liberaldemocratica con voti ampiamente mutevoli nelle varie tornate elettorali oscillanti all’interno di idealità politiche scarsamente variabili. E così pure l’area socialista ma suddivisa in una larga quantità di piccoli gruppi che in alcuni casi solidarizzano nella fase elettorale ma in altre sono addirittura l’uno in concorrenza dell’altro. In sostanza un Paese politicamente sconclusionato in tutte le aree politiche e di conseguenza debolissimo nell’ambito dell’Unione Europea.

***

L’esperienza storica ci dice che quando predomina il populismo fino al punto di configurare come tale una nazione che ha una sua storia, una sua lingua, un suo carattere culturale che esprime a sua volta una classe dirigente, fenomeni come quelli ai quali stiamo assistendo proprio in questi ultimi anni e mesi sono abbastanza singolari.

Ma se dovesse esistere un vero capo conforme a un Paese populista che sfoci inevitabilmente in una dittatura, il personaggio più adatto non sarebbe Salvini e tanto meno Di Maio, bensì Matteo Renzi.
Salvini è un dittatore che tuttavia deve essere al servizio di qualcuno di patria diversa: più volte abbiamo osservato che lui è adatto ad assumere il titolo di presidente dell’Italia, che lascerebbe il posto di padrone del Mediterraneo al presidente di tutte le Russie, Vladimir Putin. Salvini sarebbe il suo alto rappresentante nel Mediterraneo e in un’Italia asservita all’interno e rappresentante internazionale d’un grande impero straniero.
La personalità di Matteo Renzi è del tutto diversa e molto differente il suo obiettivo. Si occupò di politica che era ancora molto giovane. Non proveniva da incubazioni tipo Bossi-Lega Nord, che fu il viatico di Salvini.
Renzi non ha alcun maestro, viene da una famiglia di buona borghesia, con parecchie virtù di mente sveglia in affarucci di provincia e in qualche affare un po’ più consistente. Cultura vera e propria del tutto assente.
Così è nato Renzi, già fornito di intelligenza politica e attrazione verso il potere assoluto: questo è il difetto fondamentale, accoppiato a caratteristiche peraltro notevoli: fiuto politico, spregiudicatezza morale, provenienza e carattere di media borghesia provinciale. Dopo le dimissioni da tutte le cariche che rivestiva all’epoca del referendum sonoramente perduto, Renzi ha sentito il richiamo della politica e della dittatura democratica.

Questa definizione sembrerebbe ed è fortemente contraddittoria: una dittatura democratica è inconcepibile, eppure è esistita più volte nella storia: l’esempio più illustre ne fu Napoleone che da giovane fu un soldato al servizio della democrazia più notevole nell’età moderna, quando lui era partito da una libera Corsica nettamente antifrancese, del cui Paese peraltro diventò ufficiale, colonnello, generale, membro del Direttorio repubblicano, comandante dell’Armata dislocata in Egitto, nominato poi primo console in una congiura del Direttorio organizzata da suo fratello Luciano Bonaparte. Napoleone da primo console diventò imperatore democratico. È possibile? Sì, è possibile e Napoleone ne è uno dei maggiori rappresentanti: il popolo francese viveva in un regime libero; la dittatura di Napoleone fu riservata agli eserciti e alle nazioni asservite ad alleanze che erano servitù.

Non sto certo paragonando Renzi a Napoleone, ma qualche tratto in comune esiste: il potere di Renzi è tutto politico, non vuole altri partiti tra i piedi che detengano reali poteri. Quelli debbono essere tutti suoi ed infatti così fu per vari anni durante i quali Renzi fu leader democratico che governava da solo in quanto segretario del suo partito. La presidenza del Consiglio di Enrico Letta e la segreteria Pd di Renzi fu una convivenza che durò pochi mesi durante i quali Renzi fece la faccia molto amichevole nei confronti di Bersani e di Letta, dopodiché avendo conquistato l’intera direzione del partito fece votare all’unanimità la destituzione di Letta e ne prese il posto. Accentrò nelle sue mani tutte le cariche salvo quella di membro del Parlamento. Portò il partito al 41 per cento, varò una riforma per abolire il Senato e una legge elettorale con premio di maggioranza al secondo turno.

Oggi l’obiettivo di Renzi è sempre lo stesso: ha fondato un proprio partito che riscuote per il momento soltanto il 4 per cento circa ma si propone la riconquista della guida della maggioranza con la sua influenza, le sue richieste e i suoi veti. L’attuale segretario del Pd, Nicola Zingaretti, gli ha offerto una alleanza stretta, dignitosamente secondario, Renzi almeno finora è ben lontano dall’accettare una posizione subordinata. Fin da quando cominciò ad occuparsi di politica puntò sempre a un vertice solitario e questo è anche attualmente il suo fine. Sembra del tutto irraggiungibile ma questo è il suo divertimento. Riuscirà? Non riuscirà? Ci vuole del tempo per saperlo ma a lui piacciono queste imprese impossibili nelle quali è riuscito almeno una volta.
Desidero a questo punto concludere dicendo di fronte ai voleri di Renzi un “grazie, no” che mi viene assolutamente e spontaneamente ultra-convinto.

Sorgente: Napoleone e l’ultima campagna di Renzi | Rep

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