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Mediterraneo. In un rapporto del Forensic Oceanography il caso della nave Nivin che a novembre dell’anno scorso riportò 93 persone a Misurata

Marina Della Croce

La tecnica era semplice. Per aggirare il divieto di respingimento imposto dal diritto internazionale l’Italia affidava ai mercantili il compito di intervenire in soccorso dei barconi carichi di migranti ordinando poi di coordinarsi con la Guardia costiera di Tripoli per riportarli in Libia, Paese dal quale erano fuggiti. Un modo per «privatizzare i respingimenti» svelato dal Forensic Oceanography, centro di ricerche della Goldsmith University di Londra, e che è costato all’Italia una denuncia al comitato per i diritti umani delle Nazioni unite.

Il caso preso in esame riguarda il mercantile Nivin. Il 7 novembre 2018 la nave, battente bandiera panamense, riceve dal Centro nazionale di coordinamento marittimo italiano la richiesta di intervenire in aiuto di un’imbarcazione con 93 migranti in difficoltà nel Mediterraneo.

In seguito al soccorso, al Nivin viene detto di contattare la Guardia costiera libica che, a sua volta, ordina di riportare i migranti in Libia. Una volta arrivati nel porto di Misurata, però, i migranti rifiutano di lasciare la nave sapendo che sarebbero stati riportati nei centri di detenzione. La resistenza dura dieci giorni, al termine di quali le forze di sicurezza libiche intervengono con lacrimogeni a pallottole di gomma per costringere i migranti alla resa. Migranti che poi vengono imprigionati nei centri, dove sono in molti quelli che subiscono violenze e torture.

A rendere noto quanto accaduto è un cittadino sud-sudanese oggi residente a Malta ma all’epoca dei fatti tra i migranti costretti con la forza dai libici a scendere dalla Nivin. L’uomo ha raccontato ai volontari di Medici senza frontiere che lo hanno incontrato a Malta di «essere stato colpito con una pistola a una gamba, arrestato malmenato, costretto al lavoro forzato e privato di cure mediche per mesi».

A presentare la denuncia alle Nazioni unite è stato il Global Legal Action Network (Glan), che punta il dito sulle responsabilità italiane: «I respingimenti delle persone che l’Italia ha rimandato in Libia erano illegali» scrive l’organismo in una nota ricorda anche come i «respingimenti privati» siano aumentati in modo significativo dal giugno del 2018, con gli Stati che hanno utilizzato sempre più i mercantili per «cercare di aggirare i loro obblighi verso i migranti». E a proposito della Nivin il rapporto di Forensic Oceanography aggiunge che l’operazione venne «coordinata» dalla Guardia costiera libica che era «in comunicazione» on una nave della Marina italiana ormeggiata a Tripoli. E ancora: «Sebbene gli attori coinvolti possano dare l’impressione di un coordinamento tra attori statali europei e la Guardia costiera libica, il controllo e il coordinamento rimasero costantemente nelle mani di attori europei e in particolare italiani». «La nostra denuncia – conclude il responsabile del Glan, Gearoid O’Cuinn – si rivolge al tentativo dell’Italia di abdicare alle sue responsabilità nel rispetto dei diritti umani, privatizzando i respingimenti i migranti riportati in una situazione di incubo in Libia».

La denuncia rappresenta i ruolo attivo svolto dall’Italia nel respingere i migranti in Libia, e che non si limiterebbe alla sola fornitura di motovedette e assistenza tecnica alla Guardia costiera libica. «Il nostro Paese, con i nostri soldi, ha fatto questo», ha contato l’ex sindaco di Lampedusa, oggi europarlamentare, Pietro Bartolo. «Da rapporto emerge la pratica di arrivare a rivolgersi ai mercantili privati, laddove la Guardia costiera libica non poteva prendere in carico le persone che cercavano di arrivare in Italia. Mi auguro soltanto che le responsabilità vengano individuare prima possibile».

Sorgente: Migranti, mercantili usati per i respingimenti. Italia denunciata all’Onu | il manifesto

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