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Il leader della Cgil: “Dobbiamo unire le forze contro la deindustrializzazione del Paese e governare la transizione verso un nuovo modello di sviluppo”. “Alle imprese chiedo di bloccare i licenziamenti: all’Ilva come all’Unicredit che taglia 6 mila posti per alzare i dividendi agli azionisti”. “Ho molto rispetto per il movimento delle sardine perché chiedonopiù democrazia, più partecipazione, e maggiore libertà”

di Roberto Mania

ROMA – Maurizio Landini, segretario generale della Cgil, lancia la sua proposta: un progetto per l’Italia, condiviso da governo, sindacati e imprese per impedire che il Paese «si sbricioli sotto i colpi di un processo di deindustrializzazione». «Il lavoro, la qualità del lavoro e i diritti di chi lavora — dice il leader sindacale — devono essere al centro di questo progetto per governare la transizione verso un nuovo modello di sviluppo ecocompatibile ma anche la trasformazione tecnologica in atto nel sistema produttivo».

Landini, la sua proposta, che ridà protagonismo all’asse governo-parti sociali, sembra una mossa anche per cercare di contenere la richiesta dell’“uomo forte” che secondo il Censis viene dal 48 per cento degli italiani, percentuale che sale quasi al 68 per cento tra gli operai. Come spiega questa tendenza?
«C’è l’aumento dell’insicurezza e della precarietà delle persone che per vivere devono lavorare. Cinquant’anni fa tutte le forze politiche, con l’astensione del Pci, votavano lo Statuto dei lavoratori. In questi anni, invece, hanno votato tutti per frantumare il diritto del lavoro. È successo questo: siamo passati dal lavoro tutelato e dignitoso a quello precario e allo sfruttamento degli appalti, dei subappalti, delle finte cooperative. La domanda dell’uomo forte in gran parte nasce dalla solitudine di chi lavora o di chi non lo trova di fronte a questi processi. La risposta sta nel lavoro, nella qualità del lavoro; nella ricostruzione delle ragioni collettive e dell’agire comune».

E il sindacato cosa può fare per non giocare sempre in difesa?
«La proposta della Cgil è nota: cancellare il Jobs act e varare la Carta universale dei diritti che riconosce stesse tutele e stessi diritti a tutti coloro che lavorano a prescindere dal rapporto. È necessario ricomporre la frantumazione del lavoro. E oggi siamo di fronte a due nuove sfide epocali: il cambio di paradigma produttivo con la rivoluzione digitale, e la domanda di un diverso modello di sviluppo compatibile con la difesa dell’ambiente. Entrambe stanno cambiando il modo di produrre e di lavorare. Non è un caso che siano le giovani generazioni a mobilitarsi perché è in gioco il loro futuro».

Il movimento ambientalista, da una parte, ma dall’altra anche quello delle “sardine” che chiede una nuova politica. Lei cosa pensa delle “sardine”?
«Intanto mi piace ricordare che accanto ai Fridays for Future e alle sardine c’è un grande soggetto collettivo che in questo anno è stato capace di mobilitare le persone e di riempire le piazze: il sindacato confederale, Cgil, Cisl e Uil, con le iniziative a sostegno delle nostre richieste sulla legge di Bilancio. Detto ciò, ho molto rispetto per le sardine. Da loro viene una domanda importante di qualità delle democrazia, di partecipazione, di maggiore libertà. Parlano alla testa e all’intelligenza delle persone, rifuggono da semplificazioni banali e dall’idea di costruire artificialmente i nemici. C’è una importante attenzione verso gli altri: le differenze non fanno paura ma sono considerate un valore. Le sardine coprono un vuoto che si è prodotto nell’offerta politica. Hanno iniziato in Emilia Romagna contro Salvini ma rapidamente sono andate oltre Salvini. Oggi non è un movimento contro ma per: per cambiare questo Paese. Questo interessa anche il sindacato. Sottolineo ad esempio il fatto che più d’uno dei promotori del movimento ha un rapporto di lavoro precario».

Che relazione c’è tra la Cgil e le sardine?
«Grande interesse. Certo, molti iscritti alla Cgil sono scesi in piazza. Ma questo è un movimento del tutto spontaneo».

Secondo un sondaggio di Ilvo Diamanti il 27 per cento degli italiani potrebbe votare le sardine se si presentassero alle elezioni. Lei le voterebbe?
«Da segretario generale della Cgil non dirò mai per chi voto».

Da segretario della Cgil sta portando a casa una legge di Bilancio che redistribuisce al lavoro circa tre miliardi di euro attraverso il taglio del cosiddetto cuneo fiscale. È sufficiente?
«È un primo risultato delle mobilitazioni. E anche se apprezziamo il cambiamento di rotta di questo governo, in particolare su i temi fiscali, vanno conquistati altri punti. Dobbiamo uscire dalle logiche emergenziali affrontando i problemi a ridosso delle manovre economiche. Serve una visione comune che guardi al futuro del Paese: dal fisco alla pubblica amministrazione, dalla crisi dell’industria al welfare state. Governo e parti sociali possono definire insieme gli obiettivi».

Propone un nuovo patto sociale?
«Propongo di ricercare un progetto comune, un progetto condiviso per il Paese in cui ciascuno faccia la sua parte e nel quale sia riconosciuta pari dignità tra lavoro e impresa».

Con un governo litigioso, privo di identità e che rischia di cadere prima della prossima primavera?
«Sono abituato a confrontarmi con il governo che c’è, non posso scegliermi l’interlocutore. Abbiamo apprezzato che questo esecutivo abbia riaperto il dialogo con i sindacati, che abbia avviato tavoli di trattativa. Ora serve portare a compimento reali riforme a vantaggio del mondo del lavoro. Certo, sono sotto gli occhi di tutti le articolazioni politiche all’interno della maggioranza. Questo è il governo e con questo ci si deve confrontare».

Cosa chiede alle imprese?
«Di bloccare i licenziamenti: all’Ilva di Taranto come all’Unicredit che annuncia 6 mila esuberi per aumentare i dividendi agli azionisti. Bisogna investire sul futuro, sul lavoro per i giovani. E poi di abbandonare le sirene della finanza, di tornare a essere gli imprenditori innovativi e capaci che insieme a chi lavora hanno fatto l’Italia».

Anche per questo è favorevole ad un intervento massiccio del pubblico nell’economia?
«Non vedo un intervento pubblico in sostituzione di quello privato. Ritengo che l’intervento pubblico sia necessario per affrontare la complessità della rivoluzione produttiva. Spetta al pubblico orientare lo sviluppo. Da qui il ruolo che devono avere la Cassa depositi e prestiti, le Fondazioni bancarie e con le dovute garanzie anche i fondi pensionistici integrativi. In settori strategici come ad esempio quello della produzione dell’acciaio o della nuova mobilità il ruolo dello Stato è imprescindibile».

E quale ruolo affida ai sindacati?
«Oltre la naturale difesa e promozione del lavoro e dei suoi diritti, quello di una maggiore qualità della contrattazione e di una partecipazione nella definizione degli obiettivi strategici nazionali e, a livello micro, nelle aziende».

Pensa alla cogestione?
«Non mi interessano le formule. Penso a una contrattazione preventiva, con il sindacato che contribuisce alle decisioni delle imprese e che non si limita a rivendicare a cose fatte. I lavoratori devono partecipare alle scelte perché il rigido modello organizzativo taylorista è largamente superato. Vogliamo affermare la libertà e la realizzazione nel lavoro. Non bisogna avere paura delle nuove tecnologie: tutto dipende da chi le progetta e da chi le governa. E i lavoratori non possono essere solo spettatori. Ma per fare tutto ciò compiutamente e democraticamente serve l’attuazione dell’articolo 39 della Costituzione e la validità erga omnes dei contratti. La Cgil, il sindacato, è pronto ad assumersi le proprie responsabilità. Gli altri?».

Sorgente: Landini “Un’alleanza con governo e imprese per impedire che il Paese si sbricioli” | Rep

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