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di Eugenio Scalfari

L’evento internazionale più importante in questi giorni (ma ce ne sono anche molti altri di cui ci limiteremo a citare l’importanza) è stata la vittoria del conservatore inglese Boris Johnson, il quale di fatto ha spazzato via tutti gli avversari disseminati qua e là. La Brexit dovrebbe essere varata entro gennaio come programma di rapporti tra il Regno Unito e l’Europa. Se pensiamo che fino alla Prima guerra mondiale Londra rappresentava ancora un impero coloniale, economico, politico e la sterlina era la moneta internazionale numero uno, dobbiamo registrare un vero e proprio crollo storico.

Johnson ha promesso all’opinione pubblica che per la fine di gennaio il quadro dei rapporti tra l’Inghilterra e l’Europa sarà chiarito su tutte le questioni che segnano un rapporto internazionale con il continente di cui geograficamente l’Inghilterra continua a far parte. Ma politicamente non più: Londra ha conquistato la sua completa autonomia. Contemporaneamente subisce qualche cosa che somiglia alla perdita del prestigio internazionale che quel Paese esercitò fino ad un secolo fa e che era stato costruito dopo la scoperta dell’America. Erano i tempi della casa reale discendente da Enrico VIII e dai suoi successori. Era nato proprio alla corte d’Inghilterra lo scisma religioso degli anglicani e l’impero vero e proprio che poi culminò con la regina Elisabetta: fu con essa che nacque e crebbe l’impero e fu con essa che il Regno Unito oltre all’Inghilterra comprendeva anche il Galles, la Scozia e una parte dell’Irlanda.

Il Regno Unito di oggi – comunque vada a finire il rapporto con l’Europa – ormai non ha più il livello mondiale d’un tempo. Johnson rappresenta la politica conservatrice e negozierà con l’Europa i rapporti economici più che politici. Non è ancora affatto chiaro se il distacco costituzionale dell’Inghilterra stimoli l’Europa ad assumere una struttura federale anziché confederale: il continente di cui l’Italia fa parte e i diciannove Stati europei che hanno scelto la moneta comune costituiscono una possibile ipotesi di ripetere lo schema degli Stati Uniti americani; del resto molti grandi Paesi hanno scelto la via della federazione e della moneta comune: così è avvenuto negli Stati Uniti, in India, in Russia, in Australia. E così probabilmente farà l’Africa, un continente che sta registrando una crescita incredibilmente importante delle proprie popolazioni: la sua consistenza politico- economica sarà presto grandissima. E di fronte a un mondo che annovera Stati di proporzioni continentali nel Sudamerica, l’avvenire è infinitamente dinamico. Nessuno di noi lo vivrà fino in fondo, ma i più giovani sì. Queste prospettive riducono l’autonomia britannica a un provincialismo che toglie qualunque importanza a quelle vicende.

Passiamo ad uno scenario completamente diverso: i vari stati d’animo e le varie circostanze che stanno determinando la politica interna della nostra Italia. I partiti (di diverse dimensioni) sono molto numerosi e presente e futuro sono caratterizzati da una moltitudine di incertezze che variano non solo mese per mese ma quasi giorno per giorno. Mentre stiamo scrivendo questo articolo ci arrivano infatti notizie sulla manifestazione indetta dai promotori d’un movimento che ha preso il nome dalle sardine. Strano nome che i giovani alla guida di questa comunità definiscono caratterizzato dai seguenti ideali: democrazia, Costituzione e un programma non ancora definito. I giovani caratterizzano questo movimento nelle piazze di tutta Italia. Un fenomeno che cresce, ma è estremamente fluido o se volete incerto. La sua canzone comune alle varie circostanze è Bella ciao: risale ai primi del Novecento, diventò quasi ufficiale nella sinistra partigiana dell’ultima guerra mondiale.

Dopo il conflitto, lo spirito antifascista dei giovani dilagò: nacquero partiti di varia specie, a cominciare dalla Democrazia cristiana, dai comunisti e dai socialisti e dai capi della Resistenza a cominciare da Ferruccio Parri (Partito d’Azione). Con questi partiti nome comincia storicamente la nostra epoca politica, insieme a quella europea di cui facciamo ovviamente parte.

Oggi la situazione non è affatto brillante: né la nostra né quella europea. Esiste una maggioranza? Esiste una prospettiva nell’immediato futuro? Questo futuro si caratterizza con gli ultimi due anni della presidenza della Repubblica guidata da Sergio Mattarella. Che cosa accadrà? Ci sarà una crisi di governo promossa da alcuni partiti o si aspetteranno le scadenze ufficiali? Matteo Salvini vorrebbe una crisi di governo entro un paio di mesi ma è lui solo che coltiva questo obiettivo anche perché il suo partito viene valutato dai sondaggi come quello con il più alto gradimento. Il partito che ideologicamente e organizzativamente è alla guida dell’opposizione si identifica con il Pd guidato da Zingaretti insieme ad un gruppo di buon livello etico-politico. Nella stessa area ma con una rilevante autonomia c’è un gruppo guidato da Carlo Calenda. I movimenti che giocano dalla stessa parte dello scacchiere politico italiano sono numerosi e spesso si collegano a leader locali, sindaci o governatori regionali, a Palermo, a Caltanissetta, a Napoli, in Puglia, in Basilicata, nel Lazio, in Abruzzo, in Toscana e anche nel Nord. Le alleanze sono variabili e anche alquanto deboli.

L’esempio più eloquente è nel più piccolo dei vari partiti egemoni: i Cinquestelle e Luigi Di Maio il quale attira su di sé l’attenzione per le continue incertezze della sua posizione politica. La consistenza numerica è valutata intorno al 15 per cento, la sua collocazione geografica è soprattutto nell’Italia centromeridionale, il suo 15 per cento serve a ben poco ma disturba, questo sì: a volte dà la mano a Zingaretti e alla sinistra, altre volte fa vedere che rimpiange l’alleanza con Salvini e comunque usa i mezzi necessari per ridurre al minimo possibile l’autorità del presidente del Consiglio (che in fondo viene dalle sue fila) Giuseppe Conte. Di Maio vuole un Conte in mutande.

Per l’interesse dell’Italia vorremmo che questa spoliazione dei poteri ministeriali non avvenisse. Personalmente credo che ci vorrebbe un Conte in alta uniforme. Le qualità le ha ma il percorso è alquanto difficoltoso tanto più che su un’altra scala e con altri metodi si usa la fionda contro la sinistra. Anche Matteo Renzi coltiva la sua strada verso un ammiragliato che da una scialuppa di piccolissime dimensioni vorrebbe guidare di nuovo una nave ammiraglia. Sembra difficile perché Matteo Renzi oscilla tra il 3 e il 5 per cento secondo le valutazioni degli uffici competenti. Spesso tra Renzi e Di Maio c’è un’intesa: tutt’e due colgono qualsiasi pretesto per far la voce grossa e disturbare alleati che non brillano neanche loro.

Il discorso di questi ultimi giorni riguarda per esempio la legge elettorale da varare: i “disturbatori” non vorrebbero alcuna soglia di sbarramento, o una quota molto bassa. I partiti maggiori chiedono almeno il 5 per cento per ogni lista come minimo; il limite non è neppure necessario, basterebbe registrare tutte le liste che si presenteranno alle elezioni. Ma c’è un altro problema connesso alle future consultazioni: i voti riscossi si limiteranno a valere quel che valgono oppure sarà stabilito un premio per dare maggiore capacità di governo a chi ha ottenuto un risultato abbastanza vicino alla maggioranza assoluta? Questi sono i temi.

Quanto all’europeismo italiano che il nostro Paese ha impersonato fin dai tempi di Altiero Spinelli, oggi è assai poco diffuso. Le classi politiche italiane lo usano molto poco e del resto non sono le sole: Macron ha un peso e la Francia con lui, la Germania è molto confusa politicamente e Angela Merkel sta vivendo la fine della sua carriera; la Spagna politicamente vale ben poco. Viene in mente Ignacio Sánchez Mejías: lui era bravo, anzi bravissimo, ma il toro lo fece fuori. Di tori che mandano al tappeto il torero ce ne sono parecchi ma hanno poco da divertirsi perché i toreri che valgono veramente sono quasi inesistenti.

Sorgente: I trionfatori di Londra. I disturbatori d’Italia | Rep

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