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Lo spettro del voto sta riscrivendo la manovra costringendo Conte e Gualtieri a mediazioni quasi impossibili

di Francesco Manacorda

Il mediatore, spiega la Treccani, è “in genere, chi s’interpone fra due persone cercando di portarle a un accordo, di far concludere loro una trattativa”. Se si applica questa asettica definizione a Giuseppe Conte e a Roberto Gualtieri, premier e ministro del Tesoro di un governo che pare ogni giorno sull’orlo della dissoluzione, e per l’appunto “mediatori” tra le forze di maggioranza in questi giorni convulsi di (ri)scrittura della legge di Bilancio, si può avere la misura delle distanze che hanno dovuto e dovranno ancora colmare.
Fino a qualche settimana fa la critica principale che si poteva muovere alla legge di Bilancio per il 2020 era quella che fosse tutta e solo schiacciata sulla necessità di evitare un aumento dell’Iva – peraltro ereditato dai precedenti governi – e che, impegnata su questo fronte per ben 23 miliardi, avesse dunque uno spazio di manovra quasi nullo per provare a disegnare un progetto di Paese, per dare un’indicazione di politica economica e di redistribuzione dei redditi. Per far capire, in poche parole, che cosa vorrebbe fare questo governo per il futuro dell’Italia.

Adesso, tra veti incrociati e misure concrete che paiono studiate più che altro per diventare slogan elettorali, la situazione si è ingarbugliata e la critica diventa più radicale. Non tanto per il consueto lavoro di bricolage tra le forze di governo e in Parlamento attorno ai grandi numeri della legge di Bilancio. Non è una novità e sarebbe da anime candide scandalizzarsene; del resto se la politica è rappresentanza di interessi è comprensibile che quegli interessi si incontrino, spesso si scontrino e talvolta si compensino, proprio là dove si decide. Ma quel che colpisce è vedere in trasparenza come ogni richiesta di ciascun partito, ogni torsione e contorsione dell’assetto originario della manovra, sia piegata alla sola logica di un futuro – sebbene forse assai prossimo – posizionamento elettorale. Una convulsione collettiva che non pare indice di vitalità ma certifica in modo quasi scientifico lo stato patologico della maggioranza.

Quella che poi è una pubblica virtù – il fatto che proprio Gualtieri sia riuscito a ottenere dalla Commissione europea un via libera alla legge di Bilancio anche grazie alla fiducia obbligata di Bruxelles nel governo Conte bis e nella figura dello stesso ministro dell’Economia – diventa un vizio privato nei rapporti di governo. Gualtieri si è infatti impegnato con la Commissione a non deflettere da un rapporto deficit/Pil del 2,2% per il prossimo anno. Ma proprio l’impegno a non fare più deficit toglie alla maggioranza quell’efficacissimo lubrificante che si chiama spesa pubblica e che è in grado di sbloccare anche le coalizioni di governo più improbabili e rugginose. Invece niente. Con il deficit bloccato e Gualtieri che non ha ovviamente alcuna intenzione né alcuna possibilità di rimangiarsi gli impegni presi con l’Europa, gli scricchiolii aumentano, i bulloni della coalizione tremano e il rischio di un incidente aumenta.

Il caso delle ultime tasse che il governo ha prima introdotto in manovra e che adesso ne escono una dopo l’altra in un carnevale di variazioni pressoché infinito, è esemplare di quanto vincoli di bilancio e aspettative elettorali elevate a unica strategia politica finiscano per cozzare. Difficile capire, ad esempio, quali siano le considerazioni economiche che hanno spinto Italia Viva a chiedere una retromarcia pressoché totale su plastic tax e sugar tax, spingendo intanto per misure alternative che potranno andare da un’ulteriore stretta delle vincite sui giochi a un nuovo aumento delle imposte per le aziende concessionarie; o addirittura per tutto il mondo delle imprese con un nuovo rialzo dell’Ires. Più facile capire le motivazioni politiche: cercare di posizionarsi sul mercato elettorale come forza riformista ma allo stesso tempo “no tax” e dunque con un’offerta talmente ampia da rischiare serenamente l’incoererenza.

È un esempio, ma ce ne sono altri che dimostrano come nella coalizione si lavori quasi solo per il brevissimo termine e usando come stella polare il fuoco fatuo dei sondaggi elettorali. Peraltro prendendo qualche cantonata anche su queste corte distanze. La tassa sulle auto aziendali, ad esempio, voluta dai 5 Stelle e non certo ostacolata dai renziani, avrebbe dovuto avere un gettito di oltre 500 milioni, ma la levata di scudi con cui è stata accolta dall’opinione pubblica, l’ha erosa nel giro di pochi giorni. I calcoli elettorali, in questo caso, erano evidentemente sbagliati.

I mediatori – per l’appunto – mediano mentre i provvedimenti entrano ed escono dalla legge di Bilancio al ritmo frenetico dei sondaggi e dei posizionamenti in vista di nuove elezioni. Ma a queste condizioni mediare rischia di essere non solo impossibile, ma anche e soprattutto inutile.

Sorgente: I sondaggi al governo | Rep

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