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Tremendo il flop della conferenza di Madrid. Il tempo scarseggia, l’emergenza impone di agire subito per tagliare le emissioni carboniche, o la crisi ambientale diventerà irreversibile e le conseguenze ancora più tragiche

di FEDERICO RAMPINI

È tremendo il fallimento della conferenza di Madrid sul clima. Significa che la comunità internazionale perderà altro tempo senza prendere le misure necessarie. E il tempo scarseggia, l’emergenza impone di agire subito per tagliare le emissioni carboniche, o la crisi ambientale diventerà irreversibile e le conseguenze ancora più tragiche. Ma c’è un altro rischio immediato: trarre le lezioni sbagliate dal fiasco di Madrid. La tentazione è facile, basta leggere il coro di condanne delle ong ambientaliste. La colpa è dei “soliti sospetti”: Donald Trump e la lobby dell’energia fossile.

Questa è una caricatura della realtà. Non aiuta a risolvere i problemi veri. Trump ha responsabilità gravi nel suo negazionismo; l’industria petrolifera e altre che usano l’energia fossile si macchiano di colpe imperdonabili. Ma le cause del disastro sono più ampie. Partiamo da alcuni dati di fatto, spesso ignorati. Nel 1992 gli scienziati e i leader del mondo si occuparono di cambiamento climatico alla conferenza di Rio de Janeiro. Da allora ad oggi, anziché tagliare le emissioni, o fermarle, o anche soltanto rallentarne la crescita, è stata immessa nell’atmosfera terrestre la stessa quantità di CO2 che fu generata dall’inizio della Rivoluzione industriale.

Il disastro di questo trentennio è avvenuto prevalentemente in Cina e in India. Era cominciato molto prima che a Donald Trump venisse in mente di fare politica. La Cina è un caso da studiare. Fu applaudita la svolta ambientalista di Xi Jinping, quando nel 2015 decise di unirsi a Barack Obama e così sbloccò gli accordi di Parigi. Sotto la sua guida Pechino si lanciò in un Green New Deal, senza aspettare che il termine diventasse di moda in Occidente. La Cina ha investito così tanto nelle fonti rinnovabili da conquistare il primato mondiale nell’energia solare. Pechino ha ritrovato cieli azzurri come non si vedevano da molti decenni.

Però la stessa Cina ha continuato a costruire nuove centrali a carbone; e a esportarne in molti paesi emergenti dall’Asia all’Africa. Infine il “verde” Xi Jinping ha avuto un ripensamento proprio quest’anno. Al primo segnale di rallentamento della crescita cinese ha tagliato gli investimenti nelle energie rinnovabili. Il maggiore produttore cinese (e mondiale) di pannelli solari, è finito in bancarotta. La lezione qual è? Perfino un regime autoritario, dominato da un Uomo Forte con una straordinaria concentrazione di potere, in grado di pianificare su un arco temporale di venti o quarant’anni, alla fine deve fare i conti con il consenso.

Xi Jinping teme il risentimento popolare in caso di crisi economica; non vuole che i cortei di Hong Kong contagino Shanghai. Ricordiamo la reazione che ebbe Emmanuel Macron di fronte ai gilet gialli. Il presidente francese si rimangiò la tassa carbonica, una misura ambientalista, dando ragione a chi gli urlava nei cortei: «Tu ti preoccupi della fine del mondo, noi non sappiamo arrivare alla fine del mese». Cina e India stanno trascinandoci verso un disastro ambientale perché la decrescita felice è improponibile.

Purtroppo, nessuno ancora è riuscito a dimostrare che la sostenibilità genera più occupazione e più reddito del capitalismo carbonico. L’Europa si candida a farlo, almeno in apparenza, con il piano verde presentato da Ursula von der Leyen. Anche su quello però abbondano gli equivoci. Si è parlato di centinaia di miliardi di investimenti, ma di soldi veri l’Unione ne mette pochi, aspettandosi che il resto venga dai privati. Inoltre i paesi emergenti sospettano che l’ambientalismo sia la nuova veste politically correct del protezionismo: il Green New Deal di Ursula include una tassa anti-inquinamento sulle importazioni di beni fabbricati generando CO2.

Questi sono i dazi di Trump con una verniciata di colore verde. Il tema vero rimane quello del consenso. Trump vinse anche grazie ai voti dei siderurgici e dei minatori, in Ohio e Pennsylvania. Hillary Clinton dava per scontato che per salvare il pianeta quei lavori brutti sporchi e cattivi andassero eliminati; magari riconvertiti ai bei mestieri della Silicon Valley… inventori di app? Trump gli promise la sopravvivenza. Loro non ebbero dubbi.

Sorgente: Cop 25, le ragioni di un fallimento | Rep

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