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A due anni dall’approvazione della legge 219, la procedura è generalmente ignorata. Meno dell’uno per cento degli italiani ha sottoscritto il testamento biologico, il 28% non ne ha mai sentito parlare. E dal ministero della Salute non è mai partita nessuna campagna informativa

Testamento biologico questo sconosciuto. A due anni dall’entrata in vigore della legge 219, solo pochi italiani sanno davvero di cosa si tratta. Meno dell’1% della popolazione ha già sottoscritto la Dat (Disposizione anticipata di trattamento), e il 28% non ne ha mai sentito parlare. Secondo i risultati della ricerca dell’associazione Vidas, solo uno su cinque conosce in effetti la procedura che consente ai cittadini di dichiarare le proprie volontà sui trattamenti sanitari ai quali si vuole o non si vuole essere sottoposti, anche nel caso in cui non si sarà più in grado di decidere. Il resto si divide tra chi ne ha sentito parlare ma non conosce i dettagli, e chi ignora completamente l’argomento.

Dal gennaio 2018, cioè da quando la legge sul testamento biologico è entrata in vigore, sono state depositate poco più di 62mila Dat. I dati sono riportati nella relazione al Parlamento aggiornata ad aprile 2019. Che però non prende in considerazione le Dat depositate dai notai e presso le utorità consolari, senza neanche presentare i dati sulla provenienza delle disposizioni, fanno notare dall’Associazione Luca Coscioni. La stessa associazione, in attesa che venga costituita una Banca dati, lo scorso 5 ottobre ha promosso un accesso agli atti per chiedere ai 106 comuni italiani con più di 60mila abitanti quante Dat siano state ricevute. Di questi 106, solo 73 hanno rispettato i 30 giorni previsti per la risposta. Nei 73 Comuni che hanno risposto, risultano essere state depositate 37.493 Dat, segnando un +23% nei primi nove mesi del 2019 rispetto al 2018. Il dato, però, è spiegato dal fatto che molti Comuni hanno iniziato a raccogliere i dati, in ritardo, solo nei primi mesi del 2019. Proiettando il dato sul totale della popolazione italiana, è ipotizzabile che a ottobre 2019 siano state depositate circa 170mila Dat, pari a un cittadino ogni 355 abitanti.

Con differenze notevoli tra i territori. Tra i 20 comuni peggiori, ci sono Trapani, Ragusa e Marsala in Sicilia; Roma, Guidonia e Viterbo nel Lazio; Catanzaro, Lamezia e Cosenza in Calabria; Legnano, Sesto San Giovanni e Monza in Lombardia. Curioso il dato dei Comuni con più Dat depositate in rapporto alla popolazione: sul podio troviamo Pesaro, Matera e Varese.

Molti Comuni ancora non si sono attrezzati alla raccolta delle Dat. Nessuna Regione italiana ha inserito le disposizioni nel fascicolo sanitario elettronico

Ma il punto è che molti Comuni ancora non si sono attrezzati alla raccolta delle Dat. Nessuna Regione italiana ha inserito le disposizioni nel fascicolo sanitario elettronico, una possibilità che è comunque prevista dalla legge. E a livello istituzionale, da parte del ministero della Salute, non è ancora stata condotta alcuna campagna informativa sul tema.

Non è un caso allora che solo tre persone su dieci si siano poste il problema di pianificare il proprio fine vita e appena lo 0,7% della popolazione abbia redatto le Dat, come riporta la ricerca di Vidas – che è la prima ad aver analizzato la percezione della popolazione italiana sul tema. Il dato sale al 3% solo in Lombardia. Le più sensibili alla questione sono le donne, non credenti, di età compresa fra i 26 e i 40 anni.

Cosa più grave, però, è la conoscenza della legge: solo il 19% dichiara di essere ben informato. E, peggio ancora, la stessa scarsa conoscenza si trova tra i medici. «Ancora più preoccupante è la scarsa conoscenza della legge nel mondo sanitario e in particolare tra i medici, da quelli di base fino a quelli di pronto soccorso e agli anestesisti rianimatori», spiega Barbara Rizzi, medico palliativista e direttore scientifico di VIDAS. «I primi, in quanto medici di fiducia, dovrebbero essere il punto di riferimento di ogni cittadino in materia di salute e quindi anche per la stesura delle Dat. I secondi, in quanto impegnati nella gestione delle emergenze e dei post acuti, dovrebbero chiedersi per primi se il paziente che stanno curando e che non è più in grado di esprimere le proprie volontà, le abbia espresse in anticipo».

Il futuro, però, potrebbe riservare sorprese perché gli italiani sembrano essere mediamente favorevoli al testamento biologico: tra quanti conoscono la legge e non hanno sottoscritto le Dat si dichiara convinto il 51,4%, contrario il 27,4% e indeciso il 21,3%. I più preparati, e favorevoli, sono cittadini residenti nelle regioni del nord-ovest, atei o agnostici, di età compresa tra i 26 e i 40 anni e con un livello di istruzione medio-alto. I meno informati vivono al sud e sono credenti over 70.

E se per il 32% il momento perfetto per sottoscrivere le proprie disposizioni è il prima possibile, anche in condizioni di perfetta salute, per il 25% è opportuno in caso di grave malattia. La tendenza comunque è quella di posticipare a un tempo non definito la decisione. E nonostante il biotestamento sia considerato il mezzo per garantire il diritto a una morte dignitosa e per tutelare le volontà della persona, è ancora circondato dalla paura di possibili abusi. E, cosa peggiore, viene ancora troppo spesso confuso con il suicidio assistito e l’eutanasia.

Sorgente: Biotestamento fantasma. Esiste, ma non lo conosce nessuno – Linkiesta.it

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