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Rivolta in Iran, la denuncia di Amnesty International: «106 manifestanti uccisi in 21 città»

Continua la protesta contro il caro benzina. Internet oscurata per non mostrare la brutale repressione, denuncia la ong. I leader delle manifestazioni potrebbero finire impiccati

Monica Ricci Sargentini

Da quando è stato bloccato Internet, sabato scorso, le notizie sulle proteste di piazza in Iran contro il rincaro della benzina sono poche e frammentate. Si temono molti morti. Amnesty International parla di almeno 106 persone uccise illegalmente «dalle forze di sicurezza iraniane» in 21 città. Una conclusione cui l’Ong sarebbe giunta attraverso «video verificati, testimoni oculari e informazioni raccolte da attivisti fuori dall’Iran». Ad essere allarmato è anche il portavoce dell’Alto Commissariato per i Diritti umani delle Nazioni Unite (Unhchr), Rupert Colville, che denuncia un «significativo» numero di vittime soprattutto a causa «dell’uso di proiettili veri» e chiede alle autorità di «evitare di ricorrere alla forza per disperdere manifestazioni pacifiche».

La versione del regime

Molto diversa la versione del governo iraniano che ammette cinque decessi, di cui tre agenti delle forze dell’ordine uccisi in un’imboscata dai rivoltosi nei pressi di Teheran. Secondo il quotidiano conservatore Kayhan, molto vicino alla Guida Suprema Ali Khamenei, i dimostranti «avrebbero confessato di essere stati pagati da qualcuno al di fuori del Paese» per creare il caos. Per questo i loro leader rischiano la pena di morte per impiccagione.

L’aumento della benzina

Le proteste erano iniziate il 15 novembre per gli aumenti del carburante (+50% fino a 60 litri al mese, +300% sopra quella soglia) che si sono aggiunti al crollo della moneta iraniana, il rial, dopo l’imposizione delle sanzioni Usa. La classica goccia che ha fatto traboccare il vaso soprattutto in un Paese in cui la benzina a basso costo viene data per scontata. I testimoni raccontano di proteste pacifiche che vengono ipotecate da pochi gruppi violenti. «Eravamo in piazza per gridare la nostra rabbia quando un gruppo di sei o sette persone con il volto coperto ha cominciato a rompere le finestre di una banca», ha raccontato all’Ap Reza Nobari, un meccanico di 33 anni.

L’Ayatollah accusa

Per Khamenei i rivoltosi sono legati al gruppo in esilio Mujahedeen-e-Khalq e all’avvocato di Trump, Rudy Giuliani: «Non è opera del popolo» ha detto. Il ministro degli Esteri iraniano, Mohammad Javad Zarif, ha criticato apertamente gli Usa per il sostegno ai manifestanti: «Un comportamento vergognoso da parte di un regime che impone misure economiche coercitive ai cittadini».

Il semaforo verde

Amnesty, al contrario, accusa l’Ayatollah di aver subito descritto i manifestanti come «banditi» e dato semaforo verde alle forze di sicurezza per agire con la forza. «L’uso delle armi da fuoco per reprimere il dissenso è diventato una politica statale», ha dichiarato Philip Luther, direttore delle ricerche sul Medio Oriente e l’Africa del Nord dell’Ong.

Ora cosa succederà? Le persone arrestate sono più di mille, tra loro c’è la difensora dei diritti umani Sepideh Gholian. Amnesty sollecita un’azione immediata della comunità internazionale, comprese le Nazioni Unite e l’Unione europea.

Intanto, nonostante le rigide misure di sicurezza e il blocco di Internet, ieri i cittadini sono scesi ancora in piazza in diverse città.

Sorgente: corriere.it

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