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Nell’Aula Bunker di Rebibbia stasera il pronunciamento della Corte d’Assise sui 5 militari imputati. In Corte d’Appello la pronuncia sui medici dell’Ospedale Pertini

by Federica Olivo

“Siamo alla resa dei conti. La tensione è alta, stanotte ho faticato a dormire. Spero che finalmente mio fratello possa riposare in pace”. Ilaria Cucchi dice poche parole mentre attende che i giudici si pronuncino sui cinque carabinieri imputati per il pestaggio in caserma che avrebbe portato alla morte di suo fratello, Stefano. E’ un’attesa logorante quella che lei e i suoi genitori stanno vivendo. Oggi, nell’aula bunker di Rebibbia, si condensano tutte le lotte che la famiglia ha portato avanti in questi lunghi, lunghissimi, dieci anni. Tanti ne sono passati dalla morte di Stefano, che ha finito i suoi giorni in ospedale, una settimana dopo essere stato arrestato per droga, a Roma. Per tutti questi anni la famiglia ha cercato instancabilmente di dimostrare che non si trattava di una morte dovuta alle condizioni fisiche in cui il ragazzo versava prima di essere arrestato, né a complicanze sopraggiunte in ospedale, ma che a determinarne il decesso fosse stato il pestaggio, feroce, che aveva subito. “Stefano stava bene”, lo ha detto tante volte sua madre, Rita. E lo ripete oggi, dopo essere arrivata con il marito Giovanni nell’aula in cui sperano sia scritta la verità. I genitori di Stefano hanno raggiunto la sede della Corte d’Assise poco dopo le 9. “Come va?”, chiede alla mamma chi la conosce. “Ci siamo”, risponde. Lei e il marito sorridono a chi passa al loro fianco, ma non nascondono la tensione. Aspettano. Rivolgono lo sguardo verso la figlia: “Ilaria è un angelo – dice ancora Rita – se non fosse stato per lei saremmo morti insieme a Stefano. Lei ci ha dato un motivo per andare avanti, per cercare la verità. Davanti a quel corpo massacrato avevamo giurato che non ci saremmo mai fermati. E così faremo ancora”.

 

 

Lontano dall’Aula bunker di Rebibbia, alla corte d’Appello di Roma si sta celebrando l’ultimo atto di un altro processo sulla morte di Stefano Cucchi. E’ quello che vede imputati per omicidio colposo i medici dell’ospedale Pertini, dove il ragazzo morì. E’ arrivato al terzo atto, dopo che la Cassazione ha rinviato per due volte la decisione del giudice. La famiglia di Cucchi ha sempre sostenuto che la responsabilità del decesso non fosse da ricercare tra le mura dell’ospedale, mentre il procuratore generale della Cassazione ha chiesto il proscioglimento per prescrizione, le difese l’assoluzione. Pochi giorni fa è iniziato un altro processo ancora: quello per depistaggio, partito e subito rinviato per l’astensione di un giudice che ha detto di essere un carabiniere in congedo. L’Arma dei carabinieri, il ministero della Difesa e quello dell’Interno hanno deciso di costituirsi parte civile. “Lo Stato è dalla nostra parte, finalmente, dopo dieci anni non siamo più soli”, commenta Rita.

Ma più che su quel fascicolo, o su sul processo per depistaggio, gli occhi sono puntati su quello che deciderà il collegio presieduto da Vincenzo Capozza.

Ad attendere il verdetto anche il pm Giovanni Musarò, che ha condotto l’inchiesta ripartita nel 2015 grazie alle dichiarazioni di Riccardo Casamassima, il carabiniere che riferì alcune parole che gli erano state rivolte. “Riccardo, è successo un casino, hanno massacrato di botte un ragazzo”. E’ da questa frase, taciuta per sei anni, che è ricominciato l’iter che oggi porterà alla sentenza di primo grado. E Casamassima oggi è qui, seduto in disparte nell’Aula bunker. Anche lui in silenzio ad aspettare. Si alza per abbracciare Ilaria Cucchi. Aveva fatto lo stesso quando aveva visto arrivare, poco prima delle nove, Francesco Tedesco. Si sono stretti la mano, loro che hanno deciso, a distanza di anni l’uno dall’altro, di rompere il silenzio, di raccontare la verità.

Tedesco è l’unico degli imputati presenti in aula. Scambia poche parole con gli avvocati. Il volto è teso, così come lo sguardo. Nel caos dei legali e delle parti che cominciano ad arrivare, resta fermo. E’ stato lui, mentre era già imputato, a dare una svolta al processo, accusando i colleghi Raffaele D’Alessandro e Alessio Di Bernardo – per i quali il pm ha chiesto 18 anni per omicidio preterintenzionale – di aver pestato Stefano in caserma, di averlo preso a schiaffi, di avergli dato calci in faccia mentre era a terra, caduto dopo aver ricevuto i primi colpi. Per lui Musarò ha chiesto l’assoluzione dall’accusa di omicidio, ma la condanna a 3 anni e 6 mesi per falso. Per falso è imputato anche il maresciallo Roberto Mandolini, e per lui il pm ha chiesto 8 anni. Per il quinto imputato, Vincenzo Nicolardi, invece è stato chiesto il non doversi procedere per il reato di calunnia per intervenuta prescrizione.

Mentre nel freddo grigiore dell’aula bunker di Rebibbia si attende la sentenza, tornano alla mente quelle foto che la famiglia ebbe il coraggio di mostrare. Ritraevano il cadavere di Stefano con gli ematomi. Fu quello solo il primo atto di una serie di battaglie che Ilaria Cucchi definisce, mentre attende l’esito della camera di consiglio, “durissime e difficilissime”. Oggi si scrive un’altra pagina. Non l’ultima, ma forse la più importante.

Sorgente: “Oggi è la resa dei conti”. È il giorno dei giudizi sul caso Cucchi, sentenze su carabinieri e medici | L’HuffPost

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