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Tre gigantesche crisi certificano il collasso del Sistema-Italia, l’irresponsabilità delle sue classi dirigenti, la paralisi dei suoi meccanismi decisionali

di Massimo Giannini

Tutte le economie mondiali sono in affanno. Tutte le democrazie occidentali sono in stallo. Ma nessuno sa fallire come noi. Nessuno sa naufragare con tanta rancorosa voluttà nel mare del Grande Declino. Tra mucche in corridoio, sardine in piazza e gattini sul web. Non bastava l’Ilva, non bastava il Mose. Adesso negli abissi del lassismo di Stato e del parassitismo di mercato sprofonda l’Alitalia. Si chiude così il triangolo della crisi: tre giganteschi fallimenti che certificano il collasso del Sistema-Paese. L’irresponsabilità delle sue classi dirigenti, la paralisi dei suoi meccanismi decisionali. Un quadro desolante: lo potremmo chiamare “L’allegoria del cattivo governo”. Governo della politica, dell’economia, del territorio. Governo della destra, della sinistra, del centro.

Il caso Mose è l’infarto che colpisce il cuore del Nord. La marea sommerge Venezia, e con Venezia affoga una certa idea del “Paese che funziona”, “l’Italia che produce”. Lo hanno progettato negli anni ’80, lo ha avviato Prodi, lo ha varato Berlusconi, ha generato quattro inchieste giudiziarie, una settantina di arresti e 250 milioni di mazzette. Arriva l’onda, e tutti a chiedersi “che fine ha fatto il Mose”? A partire dai padani che lo benedissero, i Zaia e i Galan, e che non lo hanno mai finito. Ora scopriamo che per completare l’opera mancano gli ultimi 400 milioni, fermi “per intoppi burocratici”. E scopriamo che forse, una volta completato, non funzionerà: è vecchio e arrugginito. Ci è costato 7 miliardi.

Il caso Ilva è la metastasi che avvelena il povero Sud. Anche qui, 25 anni di disastri. Svanito il sogno dell’acciaio tricolore di Oscar Sinigaglia, ecco l’Italsider che perde mille miliardi di lirette, la privatizzazione avviata da Amato e la vendita ai Riva perfezionata da Dini, il capitalista privato che spolpa Taranto ed esporta fondi neri. Poi il disastro ambientale, il cancro vero che uccide gli operai, il sequestro, i pm in fabbrica insieme ai commissari, la gara e l’ingresso di un altro capitalista, stavolta indo-francese, che approfitta della schizofrenia grillina sullo scudo penale per spegnere gli altiforni. Ora il premier giura “battaglia legale”, M5S non sa che promettere, il Pd spera nella solita Cdp. Oggi Ilva perde 2 milioni al giorno. Tra 2012 e 2018 ci è costata 23,5 miliardi.

Il caso Alitalia è il paradigma perfetto del velleitarismo del Centro Romano. La compagnia aerea più politicizzata della terra, dove i ministri hanno imposto per anni le rotte per santificare le feste nei rispettivi collegi elettorali. Per il resto, stesso copione. Mala gestione pubblica, pessima privatizzazione, un partner estero mai veramente ingaggiato tra Malev, Klm, AirFrance, manager fuggiti con bonus milionari nonostante conti in rosso fisso, ridicoli Piani Fenice usa-e-getta da campagna elettorale. Pure qui, inchieste, magistrature, e come sempre commissari, a suggellare il pasticcio dal quale adesso, dopo otto prestiti-ponte, si stanno sfilando tutti: Delta e Lufthansa, Atlantia e forse anche Fs. Alitalia perde 1 milione al giorno. Ci è costata 8,7 miliardi.

Conte, Zingaretti e Di Maio continuano a dire “questo governo va avanti se fa le cose”. Eccole qui, le cose da fare, che gli italiani osservano atterriti, nell’inutile alternarsi di coalizioni che spacciano il trasformismo per “cambiamento”. Solo questo trittico fatale noi contribuenti l’abbiamo pagato 40 miliardi. Quasi 4 punti di Pil buttati via, tra assurdi spargimenti di carta bollata, totale latitanza di politiche industriali e sistematica alternanza di ammortizzatori e macellerie sociali. A suo modo, una “biografia della nazione”.

Sorgente: Mose, Ilva e Alitalia, il Paese dei fallimenti | Rep

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