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Quei Predator abbattuti sono un messaggio di fuoco inviato da Haftar a Roma: finitela di sostenere il “perdente di Tripoli”, Fayez al-Sarraj

By Umberto De Giovannangeli

Un drone italiano, MQ1-Predator, abbattuto. Un drone americano “scomparso”. La guerra dei droni nei cieli della Libia. Il comando delle forze armate Usa per l’Africa (Africom) ha reso noto di aver perso contatto con uno dei suoi droni mentre era in volo su Tripoli. L’episodio è avvenuto giovedì scorso e “un’indagine è in corso” per chiarire le cause dell’incidente. Lo si legge in una nota dell’Africom su Twitter che precisa che il velivolo non era armato. Le operazioni con i droni in Libia, sottolinea Africom, sono condotte per valutare le condizioni di sicurezza del Paese e per “monitorare le attività degli estremisti”. “Queste operazioni – conclude la nota – sono fondamentali per contrastare le attività terroristiche in Libia e si svolgono in totale coordinamento con le autorità locali”. Peccato che di quelle “autorità” non faccia parte l’uomo che da mesi assedia Tripoli e che ha impartito l’ordine di abbattere i droni “nemici”: il generale Khalifa Haftar.

Quei droni abbattuti sono un messaggio di fuoco inviato da Haftar a Roma: finitela di sostenere il “perdente di Tripoli”, Fayez al-Sarraj, il primo ministro del Governo di Accordo Nazionale (GNA), riconosciuto internazionalmente ma in rotta interna. Quanto all’Italia, da tempo i siti di spotter aeronautici sostengono che i Predator del 32mo Stormo partono da Sigonella per missioni segrete di sorveglianza sulla Libia, allo scopo di monitorare gli scontri della guerra civile. Ma il comunicato della Difesa sostiene che il velivolo precipitato nei giorni scorsi fosse solo impegnato nelle attività dell’Operazione Mare Nostro per il controllo della zona di mare a largo della Cirenaica.

La “battaglia per Tripoli”, rimarca l’analista militare Gianandrea Gaiani su AnalisiDifesa viene da tempo combattuta soprattutto con incursioni aeree affidate spesso ai droni armati. Da un lato della barricata i Wing Loong II di costruzione cinese forniti ad Haftar dagli Emirati Arabi Uniti e gestiti da contractors impiegati nei raids anche contro gli aeroporti di Mitiga (Tripoli) e Misurata (almeno uno dei quali abbattuto dalle difese aeree delle milizie fedeli al Governo di Accordo Nazionale (GNA). Dall’altro i droni armati Bayraktar TB2 turchi dislocati a Mitiga e Misurata e gestiti da personale di Ankara.

“In Libia noto una guerriglia tra bande rivali che rispondono a realtà abbastanza fluide – dice ad HuffPost il generale Vincenzo Camporini, già Capo di Stato Maggiore della Difesa -. Lo stesso Haftar ha lanciato l’offensiva contro Tripoli fidando nel supporto di alcune tribù occidentali, ad esempio quella di Zuwara, molto critiche verso il governo di al-Sarraj. A me sembra che in Libia ciascuno combatta per se stesso, il che produce una situazione di conflittualità endemica e irrisolvibile, almeno nel breve tempo”.

Haftar può anche contare sull’esperienza militare e i legami tribali del comandante Belqasim Alabaj, già alla guida dei battaglioni dell’esercito libico al fianco di Muammar Gheddafi nel 2011. “In questo quadro – rimarca ancora Camporini – l’Italia esiste in Libia perché c’è l’Eni che garantisce l’energia a tutto il Paese. E grazie all’esportazione di petrolio e gas assicura anche un flusso finanziario alla Banca centrale libica. Rimane il dubbio se sia sufficiente l’azione di una compagnia petrolifera o se invece ci debba essere, come ritengo, un’azione e propositiva del nostro Governo”. La parola è alle armi. Nella sua lunga e prestigiosa carriera militare, Camporini è stato anche Capo di Stato Maggiore dell’Aeronautica. E il discorso torna sulla guerra dei droni: “I droni – spiega Camporini – sono un mezzo abbastanza economico, disponibili sul mercato, che non comportano rischi per la parte che li utilizza e che hanno un effetto significativo dal punto di vista psicologico. È ormai certo che in questo come in futuri conflitti, ne vedremo un impiego sempre più intenso. Di contro, è necessario sviluppare sistemi contro i droni. A tale proposito, ci sono interessanti iniziative, in particolare negli Stati Uniti, di sistemi ad energia diretta, cioè con potenti raggi laser che possono abbattere con elevati livelli di certezza anche i droni più piccoli”.

“Non esiste alcuna possibilità di successo per una soluzione politica o economica della crisi in Libia prima di un deciso confronto militare”. È quanto afferma il portavoce del generale Khalifa Haftar sulla sua pagina Facebook, Ahmed Al Mismari. “Quello che il capo del Consiglio presidenziale dirige non è altro che un misto di gruppi terroristici e milizie armate che si sono imposte con la forza delle armi e nessun processo politico o economico potrà avere successo se non preceduto da un deciso processo militare e di sicurezza conformemente alle basi e alle regole che permettono il ristabilimento dello Stato sovrano, lontano dall’autorità dei gruppi terroristici e delle milizie criminali che governano attualmente Tripoli”, scrive Mismari. Il portavoce dice che il comando generale dell’Esercito di Liberazione Nazionale (Lna) del generale Haftar ha già determinato la sua posizione rispetto agli sforzi internazionali nelle dichiarazioni della riunione ministeriale di New York e in quelle preparatorie della Conferenza di Berlino, “sottolineando che nessun processo politico può avere fortuna se non vengono eliminati prima i gruppi terroristici e le milizie criminali smantellate e disarmate”. “Questi gruppi terroristici – afferma – costituiscono un ostacolo alla stabilità dello Stato, alla soluzione politica e alla creazione di un’autorità a Tripoli che possa disporre di una volontà politica e di una base costituzionale”. È necessario dunque secondo Mismari che “la Conferenza di Berlino elabori una mappa dei gruppi terroristici e dei loro sostenitori, tenendo conto delle risoluzioni del Consiglio di Sicurezza dell’Onu, in particolare per quel che riguarda le parti che sostengono i gruppi terroristici”.

Prima vinco e poi tratto con la comunità internazionale. È lo stesso Haftar a chiarirlo in una intervista a Panorama: “Chiedo al popolo libico di non prestare attenzione alle voci che affermano che potremmo ritirarci, o addirittura che pensiamo di fermarci in questa fase. Le operazioni militari non si fermeranno prima di aver raggiunto tutti i nostri obiettivi. Il morale dell’esercito è alto e i comandanti sanno bene che stanno compiendo uno storico dovere nazionale. Hanno ordini chiari. Sanno che la Libia è in pericolo, e che non vi saranno indietreggiamenti rispetto al dovere di salvarla. L’atmosfera per il lavoro politico e il dialogo arriveranno in tempi più favorevoli per il loro successo”, proclama il Generale. La Turchia e gli Emirati Arabi Uniti, schierati con Haftar, hanno trasformato la Libia nella prima guerra combattuta principalmente con droni, tanto che le Nazioni Unite stimano che negli ultimi sei mesi le due parti abbiano condotto oltre 900 missioni con aerei senza pilota.

Droni e mercenari. Secondo il New York Times duecento mercenari russi sono giunti in Libia nelle ultime settimane per combattere con la milizia dell’autoproclamato ‘Esercito nazionale libico’ del generale Khalifa Haftar. Lo schieramento dei contractors farebbe parte della campagna messa a punto dal Cremlino per rafforzare la sua influenza in Medio Oriente e in Africa. Dopo quattro anni di supporto finanziario e tecnico dietro le quinte ad Haftar, la Russia sta infatti ora intervenendo in modo diretto nella guerra libica, con l’introduzione di aerei militari Sukhoi, con raid coordinati, con missili e fuoco d’artiglieria di precisione, oltre che con mercenari e cecchini. ”È esattamente come in Siria”, ha detto al Nyt il ministro degli Interni del governo di Tripoli, Fathi Bishagha. In Siria, Vladimir Putin ha puntato su Bashar al-Assad e ha vinto. Ora replica in Libia, con Haftar.

Sorgente: Libia, è sempre più guerra dei droni. E l’Italia c’è dentro | L’HuffPost

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