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Il manifesto del movimento è tutto un attacco ai populisti. Dopo essersi tanto entusiasmato per il suo successo, sarebbe ora che il Pd lo ascoltasse. E ne traesse le conseguenze

Se questo fosse un post su facebook, dove le sardine sono nate e dove ieri hanno diffuso il loro manifesto, probabilmente comincerebbe con queste parole: «Breve storia triste». Il Pd aveva appena finito di entusiasmarsi per lo straordinario movimento nato in Emilia Romagna, proprio mentre i democratici lanciavano l’estremo appello al Movimento 5 stelle perché si presentasse al voto assieme a loro, quand’ecco che le sardine partoriscono il loro bel manifesto, che comincia con queste precise parole: «Cari populisti, lo avete capito. La festa è finita». Un manifesto che è tutto – ma proprio tutto-tutto-tutto, dalla prima all’ultima riga – un attacco al populismo e ai populisti, comunque li si possa definire e concepire, al loro modo di fare politica e di fare polemica, alle loro tecniche comunicative, ai loro slogan, alle loro categorie. Un’invettiva contro quelli che fino a oggi hanno affogato i contenuti in «un oceano di comunicazione vuota», che hanno «ridicolizzato argomenti serissimi… buttando tutto in caciara», che hanno spinto i propri seguaci a «insultare e distruggere la vita delle persone sulla rete». E per essere proprio chiari, aggiungono pure: «Crediamo ancora nella politica e nei politici con la P maiuscola». Non solo nella politica: pure nei politici.

E non è nemmeno una novità dell’ultimo minuto, a essere onesti. Sin dalla manifestazione di Bologna del 14 novembre, da cui tutto ha preso avvio, gli organizzatori lo avevano detto chiaro e tondo: «Se lo vogliamo il populismo è già finito. Se lo vogliamo la stagione delle bugie potrà dirsi conclusa. Se lo vogliamo la testa sarà più forte della pancia. Se lo vogliamo la politica tornerà a essere una cosa seria».

Il populismo è finito, la testa più forte della pancia, la politica tornerà a essere una cosa seria: dal punto di vista ideologico, siamo a metà strada tra Roberto Burioni e il Massimo D’Alema degli anni novanta, quello del primato della politica e della Bicamerale. Cioè l’esatto opposto dei girotondi e di tutti gli altri movimenti che sono stati evocati in questi giorni, che erano piuttosto i progenitori dei populisti di oggi, e in particolare del Movimento 5 stelle: stesse parole d’ordine, stessa carica antipolitica, stessi punti di riferimento (a cominciare da Marco Travaglio, per finire a Paolo Flores d’Arcais e Micromega).

Come si concilia l’entusiasmo per questi giovani fieramente antipopulisti con il corteggiamento serrato, e ormai ai limiti dello stalking, nei confronti dei populisti grillini?

Ora, premesso che un movimento non è un partito e non può essere trattato come un partito, come ci siamo sentiti ripetere fino allo sfinimento sin da bambini – anche se è stato spesso un modo furbesco di sostenere il diritto degli autonominati rappresentanti del movimento a sparare qualunque fregnaccia senza risponderne mai – una domanda si impone. Ma non va rivolta tanto a loro, quanto al Pd: come si concilia l’entusiasmo per questi giovani fieramente antipopulisti con il corteggiamento serrato, e ormai ai limiti dello stalking, nei confronti dei populisti grillini? Come conciliare gli applausi a Mattia Santori – che in tv dice: «Gli slogan su Bibbiano qua non funzionano, perché la gente ha un cervello, quindi la pancia puoi usarla altrove» – con l’alleanza con Luigi Di Maio e il suo Movimento, che con gli slogan su Bibbiano ci ha fatto un’intera campagna di comunicazione, e alcuni dei video più indimenticabili e truculenti?

Certo che un movimento non è un partito. Lasciateci dunque entusiasmare, almeno per un giorno, di fronte al primo movimento antipopulista della recente storia d’Italia – che è anche un fantastico contrappasso per tanti dei suoi attuali aedi – e pazienza se domani o dopodomani diranno o faranno l’opposto. Sarà stato bello comunque.

Un movimento può contraddirsi, cambiare idea, aggiustare il tiro o semplicemente pensare tante cose diverse quante sono le persone che vi prendono parte. Ma un partito democratico dovrebbe funzionare diversamente da un movimento, e tanto più dal Movimento 5 stelle, dove ci si può contraddire quanto si vuole perché comunque decide tutto Davide Casaleggio, attraverso quel grottesco simulacro di “democrazia digitale” che è la piattaforma Rousseau. E dove ieri, ad esempio, ha «vinto il No» – cioè sì, vogliamo presentare le liste, perché la domanda era come al solito assurdamente contorta – senza però dire come (cioè con chi: da soli o con il centrosinistra?), che poi sarebbe la questione decisiva. Mica avevate creduto davvero alla storia della democrazia digitale? In ogni caso ci ha pensato Luigi Di Maio a chiarire subito che andranno da soli.

Dovendo scegliere, personalmente, al posto dei dirigenti del Pd non avrei comunque avuto dubbi: mille volte meglio un banco di sardine che un branco di polli.

Sorgente: La solitudine della sardina – Linkiesta.it

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