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Il nuovo patto tra Grillo e Di Maio:  «Ti blindo, ma tu ora viri a sinistra»

Il capo politico offre una disponibilità a condividere il potere e il fondatore lo conferma. In cambio chiede un’alleanza politica vera con il Pd e riapre la partita delle Regionali

di Alessandro Trocino

ROMA Il 23 settembre del 2017, si congedava dal palco di Rimini, con una speranza: «Torno a fare il pensionato, il padre di famiglia». Non è andata così perché, messa al mondo una creatura, non la si può abbandonare a se stessa. E così l’ex pensionato Beppe Grillo torna sulla scena, incontra il figliolo messo a capo dell’azienda di famiglia, lo rimbrotta privatamente e lo elogia pubblicamente. Ma, fuori dall’oleografia del marketing di partito, ieri mattina si è consumato uno scontro altamente politico, finito con una soluzione di compromesso, di quelle che i 5 Stelle fino a qualche tempo fa consideravano con diffidenza come un tradimento di principi.

L’insofferenza alle liti

Grillo resta di umor nero, non solo contro Di Maio, considerato troppo ondivago e con sbandamenti a destra, ma anche contro molti big, che pensano solo a litigare e a farsi vedere. Non gli piace questo Movimento un po’ meschino di liti e di veleni in chat. Il Fondatore pensa in grande, come ha sempre fatto, prova a rilanciare il sogno, le utopie che vorrebbe trasformare in realtà, e cerca di estrarre taumaturgicamente dall’entropia di un sistema chiuso un po’ di energia creativa per ripartire.

Il commissariamento

Di Maio con Grillo si dimostra accondiscendente. Racconta il suo disagio, non tanto per gli attacchi quanto per chi parla dietro le quinte e poi, «quando si tratta di prendere decisioni, si defila». Il Capo politico avanza cautamente una sua disponibilità a ragionare in termini di collaborazione e di leadership condivisa. Sa bene che Grillo è fortemente allergico ai direttori, che vuole «uno che decide». Di Maio offre la disponibilità di condividere con un gruppo ristretto di lavoro le sue decisioni e Grillo consente. Anche se il terminale resterà lui. E non può che essere Di Maio. Defenestrarlo, come gli chiedono in tanti, non sarebbe possibile senza conseguenze per il governo. Si può solo commissariarlo, metterlo sotto tutela e consentirgli una proroga. E non importa se tutti, perfino Alfonso Bonafede, dicono basta al «capo politico» e chiedono di cambiare pagina. Non importa neanche se, per la prima volta, il Fondatore si vede rivoltato contro di lui il suo vaffa.

I dubbi degli emiliano-romagnoli

Perché Grillo ha un altro obiettivo. Trasformare l’alleanza di governo con il Pd in un vero patto politico, irreversibile. Per questo tira un colpo alla Lega salviniana. Non proprio una randellata, visto che la definisce «un po’ pericolosetta», ma neanche una carezza. Grillo vuole stringere i bulloni anche nelle Regioni, a cominciare dall’Emilia. Basta sentire cosa dice Vincenzo Spadafora, uno dei più vicini al ministro degli Esteri: «Se in Emilia-Romagna e Calabria si riapre il dibattito e si vuole ripensare a una possibilità di un’alleanza con il Pd, perché no? L’importante è rimettersi ai voleri dei territori». Già, ma come? Ancora votando su Rousseau? Sarebbe una scelta scarsamente comprensibile, visto che si è appena votato, e dal risultato incerto. Quello che è certo è che i «territori», intesi gli eletti in quelle regioni, dal Parlamento ai consigli regionali e comunali, sono frastornati. Hanno speso una vita a combattere il Pd e ora devono allearsi. Peggio, adesso devono essere loro a dichiararlo. Basti sentire Gabriele Lanzi, senatore di Sassuolo: «Siamo sconcertati, non capisco perché, se Grillo e Di Maio vogliono l’alleanza con il Pd, non lo dicano apertamente. Io non ho preclusioni ma vorrei chiarezza. E, come me, molti altri».

Fonte: corriere.it

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