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Negli uffici del premier, dopo le parole del leader di Italia Viva di ieri («Avanti, con o senza Conte»), si parla di «infantilismo politico». E serpeggia la sindrome da «disinformazione permanente»

di Marco Galluzzo

«È meglio se sto zitto». Giuseppe Conte di prima mattina legge le dichiarazioni di Renzi, si confronta con Luigi Di Maio, decide che a difenderlo saranno gli altri partiti della maggioranza, non vuole entrare in polemiche che ritiene infantili, come dicono a Palazzo Chigi, e oltremodo irresponsabili. È ormai da giorni che il presidente del Consiglio assiste quasi sbigottito al tiro al piccione sulla legge di Bilancio. Peccato, è il suo ragionamento, che le norme siano state scritte e condivise da tutti e si sta solo facendo «un grande favore a Salvini» alimentando ogni giorno una polemica o concentrando l’attenzione soltanto sui prelievi fiscali e non sui tagli e le agevolazioni.

(Renzi: “Conte? Ma a chi importa il suo destino, io evito autogol»: leggi il colloquio di Matteo Renzi con Tommaso Labate)

Quella del botta e risposta sui giornali, delle dichiarazioni della maggioranza contro la stessa legge di maggioranza, che potrà anche essere migliorata in Parlamento, è un gioco al quale il capo del governo si vuole sottrarre, anche perché aveva chiesto a tutti una comunicazione più leale, meno litigiosa, più coerente con gli aspetti positivi della manovra economica, e invece è rimasto inascoltato. Addirittura si mette in dubbio il suo ruolo e a questo punto meglio scegliere il silenzio, perché ritiene il livello delle polemiche talmente basso, in alcuni casi «miserabile» come quelle che ogni tanto gli tocca leggere da parte di Matteo Salvini, che a un certo punto meglio non replicare, per non alimentare ancora di più una cacofonia comunicativa che sta facendo passare la manovra come una legge di sole tasse e balzelli, che «è una grossolana bugia — dicono a Palazzo Chigi — visto che la pressione fiscale non sale e che abbiamo sterilizzato 23 miliardi di euro di nuove imposte».

Si apre per Conte a questo punto anche una riflessione sul proprio ruolo, visto che Renzi lo coinvolge in prima persona e visto che sia il Movimento che il Pd non trovano un terreno comune abbastanza compatto per fare squadra, invece di litigare sulle regionali, sui singoli aspetti della manovra, sul continuo rincorrersi di messaggi sui social che parlano soltanto di aspetti minimi della manovra e che fra l’altro sono stati da tutti condivisi. C’è anche il sospetto, che aleggia a palazzo Chigi, che Matteo Renzi stia in qualche modo alzando la posta per avere voce in capitolo sul giro di nomine nelle partecipate, che dovranno essere fatte. Di sicuro c’è un’irritazione estrema per un comportamento che nel Palazzo del governo giudicano «inaffidabile», a tratti incomprensibile, di sicuro destabilizzante.

Perché in questo modo vengono giudicate le parole di Matteo Renzi, volutamente destabilizzanti, con Giuseppe Conte nel mirino, altro che un aiuto al governo come dice l’ex leader del Pd in qualche modo giustificandosi. La raffica di risposte che ieri Renzi ha ricevuto, dal Movimento e dal Pd, il mettere nero su bianco che dopo Conte e dopo questo governo c’è solo il voto, hanno plasticamente isolato Renzi e fatto scudo sul presidente del Consiglio, che a questo punto ritiene anche un errore aver un paio di volte replicato per le rime al leader di Italia Viva: «Ne ha in qualche modo legittimato il profilo», è il pensiero per esempio di Di Maio, che a questo punto ha consigliato a Conte di concentrarsi sul lavoro e di non dare spago a quelle che vengono lette come mere provocazioni.

A Palazzo Chigi ormai c’è una sindrome da «disinformazione permanente», alimentata dalle stesse forze di maggioranza, dai ribelli del Movimento, dai renziani, da tutti coloro che non sono in grado di difendere la manovra, ma hanno solo trovato il tempo per attaccarla. Non siamo all’allarme rosso, ma poco ci manca e sicuramente per Conte non è questo il metodo con cui si può proseguire l’esperienza di questo governo. Il premier ha dedicato interi pomeriggi ai vertici di maggioranza, ha mediato con pazienza e ascoltato tutte le rivendicazioni dei capi delegazione, la manovra è stata approvata da tutti eppure in base a quello che ha detto a telefono ad un esponente del Pd un attimo dopo sono iniziati distinguo, bordate e una gara al disimpegno che sa molto di «infantilismo politico», un modello che lui non può certo accettare e soprattutto al quale non vuole partecipare, con buona pace della foto di Narni, in cui si è esposto personalmente, calandosi in un ruolo politico che ha finito per danneggiarlo più che aiutarlo. Ora dovrà decidere quale linea tenere nell’approvazione parlamentare della manovra, ma è sicuro che non saranno soltanto i saldi di bilancio ad essere difesi.

Sorgente: I timori di Palazzo Chigi: Renzi alza la posta perché pensa alle nomine

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