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di Federico Rampini

Nel giro di pochi giorni Donald Trump incassa testimonianze pesanti di suoi ex collaboratori sul Kiev-gate alla Camera; il suo governo legittima gli insediamenti di coloni israeliani nei territori occupati della Palestina; e Benjamin Netanyahu viene incriminato. E’ forte la tentazione di cercare dei destini paralleli nei due “gemelli” che insieme hanno modificato la politica americana in Medio Oriente. Mai in passato c’era stato un affiatamento così totale tra un presidente degli Stati Uniti e un premier israeliano. Mai la politica estera di Washington era stata così allineata sulle scelte di un singolo Paese alleato. Le affinità elettive tra i due cominciarono ancora prima che Trump arrivasse alla Casa Bianca: con i numerosi affronti che Netanyahu volle infliggere a Barack Obama; fino a fare una vera e propria campagna elettorale in favore dei repubblicani. Trump lo ha ripagato generosamente. Ha spostato l’ambasciata da Tel Aviv a Gerusalemme consacrando così il riconoscimento della città come capitale dello Stato d’Israele. Ha chiuso l’ufficio dell’Organizzazione per la liberazione palestinese a Washington. Ha tagliato gli aiuti economici ai palestinesi. Ha riconosciuto l’annessione israeliana delle alture del Golan. Infine ha rotto con le tradizioni bipartisan di tutte le Amministrazioni precedenti che consideravano illegittimi – e un ostacolo al processo di pace – gli insediamenti in Cisgiordania. Va aggiunta naturalmente un’altra rottura con l’Amministrazione Obama: denunciando l’accordo nucleare con l’Iran, Trump ha fatto esattamente quel che Netanyahu auspicava. Da tre anni è come se la politica in Medio Oriente venisse definita “sotto dettatura” dal premier israeliano.

I guai giudiziari che investono i due alleati, possono interrompere la sterzata filo-israeliana di Washington? Qui si rischia il “wishful thinking”, cioè di scambiare i desideri per realtà. Trump è avviato verso un mezzo impeachment: incriminazione alla Camera, non seguita dalla sua condanna e destituzione al Senato. Il che sposterebbe il verdetto sulle spalle degli elettori, fra un anno. Perfino nel caso improbabile che due terzi dei senatori lo facciano fuori, gli subentrerebbe il vicepresidente Mike Pence che non è meno filo-israeliano. Anche in Israele la fine di Netanyahu – ammesso che sia imminente – non sembra preludere a un governo guidato da “colombe”. I democratici americani hanno perso una sponda, per la debolezza della sinistra israeliana. Se si eccettua l’accordo con l’Iran lo stesso Obama non fece nulla per ridurre l’appoggio americano malgrado gli sgarbi plateali di Netanyahu. E la politica estera al momento è in ombra nei dibattiti fra i candidati democratici.

Sorgente: I guai della coppia Donald & Bibi | Rep

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