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I siriani: «Ci riprenderemo tutta la frontiera». Trump: «I miliziani dell’Isis non saranno mai portati in Usa, se ne occupi l’Europa». I prigionieri jihadisti non sono più sotto il controllo dei curdi

DALL’INVIATO A ERBIL. Le truppe governative siriane sono avanzate nella notte a Manbij e poi lungo un affluente dell’Eufrate sulla direttrice verso Kobane. Un’altra colonna si è mossa verso la diga di Tabqa, che si trova a una trentina di chilometri da Raqqa. Più a Est, due divisioni sono state mobilitate per attraversare il fiume e puntare verso Hasakah e poi Qamishlo, dove ci sono due guarnigioni governative rimaste sul posto per tutta la durata della guerra civile, seppure isolate. Secondo fonti di Damasco l’accordo raggiunto ieri con la mediazione dei russi, prevede che l’esercito recuperi le caserme e le postazioni lungo la frontiera con la Turchia gestite dai curdi delle Ypg dalla fine del 2012, quando le forze di Bashar al-Assad furono costrette a ritirarsi nel caos della guerra civile.

Ypg integrate nelle forze di difesa nazionale siriane
Dopo sette anni, le parti si sono invertite. Le Ypg avrebbero accettato di essere integrate nelle “forze di difesa nazionale”, un complesso di milizie filo governative, che include soprattutto formazioni sciite, cristiane e ora anche curde. Il comandante delle Forze democratiche siriane, Mazlum Kobani, ha spiegato che i curdi hanno dovuto fare “compromessi dolorosi con Mosca e con Assad” ma “abbiamo dovuto scegliere fra un compromesso e il genocidio del nostro popolo, e abbiamo scelto senza esitazione la vita del nostro popolo”. La velocità dell’accordo ha spiazzato sia gli Stati Uniti che la Turchia, anche se i canali fra i curdi e Damasco erano sempre rimasti aperti. Ad Aleppo unità delle Ypg avevano combattuto fra il 2012 e il 2016 a fianco dell’esercito contro i ribelli jihadisti.

I cristiani festeggiano ma temono colpi dell’Isis
Ora Damasco cerca di prendere la Turchia in velocità. L’operazione più difficile è sulla direttrice Hasakah-Qamishlo, dove operano gruppi ribelli alleati di Ankara, cellule dell’Isis e la situazione è in pieno caos, con il rischio che 10 mila ex combattenti dello Stato islamico tornino in libertà. Una prospettiva che terrorizza la popolazione curda ma anche la consistente minoranza cristiano-siriaca che vive nelle due città. Ieri i cristiani hanno festeggiato l’accordo con Assad e chiesto il ritorno al più presto dell’esercito. In questa fase, con gli Stati Uniti ormai fuorigioco per scelta della Casa Bianca, diventa sempre più decisivo il ruolo di Putin che storicamente mantiene buoni rapporti con Assad e che ha ormai da tempo iniziato l’avvicinamento a Erdogan.

Jihadisti in fuga

Intanto, dall’altra parte dell’oceano, il presidente Donald Trump ha come preoccupazione la gestione dei profughi: «L’Europa si prenda in carico i miliziani dell’Isis, che non saranno mai portati in Usa», è stato il suo commento all’indomani della notizia che centinaia di persone sono fuggite da un campo profughi nel Rojava dove i curdi, ormai impegnati sul fronte di guerra, non controllano più le carceri dove sono detenuti i terroristi dell’Isis. «Gli Stati Uniti hanno il peggio dei prigionieri dell’Isis -, ha detto il presidente americano su Twitter -. La Turchia e i curdi non devono lasciarli scappare. L’Europa avrebbe dovuto riprenderseli dopo le numerose sollecitazioni. Lo faccia ora. Non arriveranno mai e non saranno mai portati in Usa».

Per l’Australia l’unica responsabile per l’evasione dei miliziani del sedicente Stato Islamico (Isis) dalle carceri della Siria nordorientale è la Turchia. Il ministro degli Esteri dell’Australia, Marise Payne, ha parlato in Parlamento di una «situazione molto pericolosa in rapida evoluzione», sottolineando che l’azione militare turca «causerà certamente un’ulteriore sofferenza per i civili, porterà a un gran numero di sfollati e impedirà alle organizzazione internazionali di raggiungere le persone che hanno bisogno di aiuti umanitari».

Sorgente: Siria, lo scontro tra l’esercito di Assad e i turchi si avvicina – La Stampa

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